di Yaryna Grusha Possamai (linkiesta.it, 28 gennaio 2023)
La polemica sulla partecipazione di Volodymyr Zelensky a Sanremo ha quasi superato quelle sulle accise e ha raggiunto il livello di quella sul servizio fotografico del presidente ucraino e della First Lady su Vogue. Tra l’altro l’Italia è stato l’unico Paese che si è indignato, grazie al sostegno di troll russi che, con il loro scarso Italiano via Google Translate, denunciavano un presidente «che al posto di fare la guerra, posa per un servizio su Vogue».
Zelensky non è un politico di professione, ma un attore, ed è giusto che lui parli anche al pubblico che conosce bene, quello che legge Vogue e quello che guarda Sanremo, per mantenere accesa l’attenzione sul suo Paese che da un anno vive la guerra. Lo ha fatto fin dal primo giorno della guerra con le dirette ai festival di Cannes e di Venezia. Per qualcuno tutto questo è uno scandalo, ma noi ucraini anche durante la guerra, soprattutto durante la guerra, troviamo il tempo per vestirci bene, per truccarci, per andare a mangiare al ristorante, per andare a un concerto del nostro gruppo preferito e, allo stesso tempo, doniamo soldi e compriamo il necessario per sostenere l’esercito al fronte, per acquistare i generatori di corrente e le connessioni Starlink. Siamo anche consapevoli che potrebbe essere l’ultima volta che lo facciamo ed è giusto sentire questa vita, anche breve, fino in fondo.
Al Trieste Film Festival, dedicato quest’anno all’Ucraina, ho incontrato una mia vecchia collega che mi ha detto che ogni volta che esce dall’Ucraina abbraccia sua madre come se fosse l’ultima volta. Avrebbe preferito rimanere in Ucraina, ma è una brava produttrice cinematografica e quindi deve usare ciò che sa fare meglio per contribuire alla vittoria comune, anche se le costa una fatica morale enorme. Una fatica morale che provano tutti gli ucraini che salgono sui palchi, che cantano e raccolgono fondi, che giocano a calcio, che scendono ogni giorno nelle piazze europee. Nonostante la stanchezza morale si va avanti proprio grazie a quello che ognuno di noi sa fare meglio. Il presidente Zelensky è un ottimo comunicatore e anche lui sfrutta le sue doti e la sua esperienza.
Da ucraina mi sono rallegrata quando ho saputo di Zelensky a Sanremo: finalmente il Festival di Sanremo sarà anche parzialmente restituito agli ucraini. Il culto di Sanremo nella vecchia Unione Sovietica è noto. A casa mia ho ancora i vecchi dischi di Al Bano e Romina Power, di Riccardo Fogli, di Umberto Tozzi, di Toto Cutugno e di altre star di Sanremo. Imparavo l’Italiano cantando Felicità e Storie di tutti i giorni. Dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica, la Russia, in quanto centro imperialista, si è appropriata di tutto il patrimonio sovietico oscurando, come il suo solito, gli altri Paesi. Eppure Toto Cutugno veniva a suonare a Kyjiv ogni anno e ogni anno le sale erano piene, anche se le esibizioni davanti a Putin erano più clamorose e meglio pagate.
Nel 2021, un gruppo di artisti russi ha fatto un programma televisivo di fine anno intitolato Ciao, 2021!, girato addirittura in lingua italiana, imparata per l’occasione dagli attori, come modo per rinnovare il grande amore dei russi per la canzone italiana. Ne hanno scritto tutti, ripeto tutti, i giornali italiani ed è stata un’ottima operazione mediatica, dobbiamo riconoscerlo. Ora, finalmente, con Zelensky a Sanremo noi ucraini possiamo rinnovare l’amore per la canzone italiana che ha fatto così tanto per le generazioni cresciute negli anni Ottanta. E possiamo infine ribadire che il Festival è stato, ed è, anche un po’ nostro.