di Andrea Silenzi (repubblica.it, 4 novembre 2024)
Era l’epoca della coscienza: i musicisti avevano deciso di prendersi cura del mondo, anzi dei disperati del mondo. Sulla scia di Band Aid – Do they know it’s Christmas, l’invenzione di Bob Geldof con le grandi star inglesi, Lionel Richie e Michael Jackson avevano scritto una canzone con la stessa finalità: raccogliere fondi per combattere la crisi alimentare in Africa.
Si era pensato a un grande concerto (poi arriverà il Live Aid), ma la risposta americana al progetto britannico Band Aid [Usa for Africa – N.d.C.] si concretizzò in una canzone, We are the world. All’appello risposero in tanti, ma serviva un miracolo: fare tutto in una notte, quella del 28 gennaio 1985. Nello studio di Los Angeles si presentarono in tanti: c’erano Bruce Springsteen, Stevie Wonder, Michael Jackson, Paul Simon, Tina Turner, Ray Charles, Diana Ross, Huey Lewis, Cyndi Lauper, perfino sua maestà Bob Dylan.
Tutti lì, nella stessa sala. Bisognava farli cantare, dividere le parti, armonizzarli. Bisognava anche gestire i tintinnii delle collane e dei bracciali di Cyndi Lauper che rientravano nei microfoni e l’ubriachezza di Al Jarreau. Bisognava spiegare a Dylan dov’era. E bisognava fare presto. Quincy Jones era lì per questo. A riprendere quel gruppo di studenti in gita, a spiegare come e quando cantare, a distribuire le parti, a tenere il ritmo.
E di fronte a un gruppo di artisti generalmente in preda a deliri egoici in molti sarebbero arresi. Quincy no. Perché non era solo il produttore di Thriller di Michael Jackson. Era uno che aveva tenuto a bada Miles Davis e Frank Sinatra. Uno che aveva giocato con la Bossa Nova trasformandola in un genere pop senza snaturarla. Uno che aveva partecipato alla rivoluzione della nuova Hollywood degli anni Sessanta (e, in fondo, alla blaxploitation) firmando la colonna sonora di un film sovversivo come La calda notte dell’ispettore Tibbs [In the Heat of the Night, 1967 – N.d.C.]. Uno che aveva firmato, da musicista e produttore, dischi leggendari.
Tutti quei campioni lo ascoltavano. Lui dirigeva paziente, ma fisso sull’obiettivo. Nella sua testa girava fin dall’inizio quel singolo, We are the world, che raccolse 60 milioni di dollari. Lo sentiva già nelle orecchie ancora prima che i cantanti iniziassero la registrazione. Con l’aiuto di Stevie Wonder riuscì anche a far cantare Dylan, che forse non ha mai capito esattamente cosa ci facesse lì.
Non riuscì a convincere Madonna e nemmeno Prince, che voleva partecipare ma facendo un assolo di chitarra in una sala separata. Niente da fare. Il professor Quincy faceva una lezione per volta, in un’aula soltanto. Insegnava al mondo cos’era la musica, anche in una sola notte.