di Simone Cosimi (esquire.com, 24 giugno 2021)
Una vita da pirata, da genio e totale sregolatezza. Da fuorilegge e paladino della privacy. Da multimilionario dedito alla vita matta e disperatissima. John McAfee è morto a 75 anni: si sarebbe suicidato nella sua cella del Centre Penitenciari Brians 2 di Sant Esteve de Sesrovires, una quarantina di chilometri a Ovest di Barcellona. Il giorno dopo che un tribunale spagnolo aveva dato luce verde alla sua estradizione negli Stati Uniti, dove il milionario doveva rispondere di evasione fiscale, con diversi capi d’imputazione, fra il 2014 e il 2018. Rischiava molti anni di reclusione, alcuni dicono trent’anni, altri meno.
Comunque la faccenda era estremamente seria: solo l’ultimo capitolo di una vita al limite, trascorsa – specialmente negli ultimi trent’anni – in fuga dalle autorità, con ombre molto forti perfino per un omicidio commesso nel Paese centro-americano del Belize, dove si era trasferito. Un uomo molto diverso, o forse no, da quello che aveva inventato in sostanza il primo antivirus della storia. Regalandolo e facendosi pagare solo gli aggiornamenti. «Tutto fa pensare che si sia trattato di suicidio» ha spiegato il dipartimento di Giustizia della Catalogna. McAfee si sarebbe impiccato poche ore dopo che l’Audencia Nacional, l’alto tribunale spagnolo, aveva acconsentito all’estradizione negli Usa: era stato arrestato lo scorso ottobre all’aeroporto di Barcellona, nel pieno di una nuova fuga dagli Stati Uniti verso Istanbul, Turchia. C’erano margini per un ricorso contro quella sentenza, ma evidentemente McAfee ha deciso di chiudere a modo suo. Sempre il più traumatico, figlio di mille paranoie e probabilmente di un’esistenza ormai fuori dall’ordinario (psico)logico.
D’altronde proprio la paranoia (del controllo, del complotto, del potere, delle autorità), che ne caratterizzava l’identità anche per testimonianza di chi l’ha conosciuto, l’aveva portato da tempo, forse da sempre, a immaginare una continua macchinazione politica nei suoi confronti. Con mandanti e protagonisti di volta in volta diversi, a cavallo fra aspetti verosimili e pure fantasie. Una convinzione che ben si legava al suo odio per le agenzie federali statunitensi, per l’apparato spionistico portato alla luce da Edward Snowden a partire dal 2013 ma che, ovviamente, McAfee padroneggiava da molti anni. Fin dalla fine degli anni Ottanta, quando fondò la società che nel 2010 cedette a Intel per quasi 8 miliardi di dollari (il colosso dei chip ne ha tenuto il controllo fino al 2017), ma che su scala mondiale decollò solo a metà degli anni Novanta grazie a una serie di fusioni societarie, anche se già nel 1992 valeva 80 milioni di dollari in Borsa. Fino a diventare un software di riferimento a cavallo degli anni Duemila, con decine di milioni di pc che ne erano equipaggiati.
Nato a Cinderford, in Inghilterra, nel 1945, in una base militare, da padre statunitense e madre inglese, John McAfee è cresciuto in Virginia. Rimasto orfano del papà – anche lui alcolista, si suicidò con un colpo di pistola –, si è dapprima laureato in Matematica al Roanoke College di Salem, in Massachusetts, poi ha insegnato al Northeast Louisiana State College, da cui venne cacciato per una relazione con una delle studentesse. In quel periodo iniziò ad abusare di droghe e alcol, venne anche arrestato; e infine trovò un impiego alla Pacific Railroad di Saint Louis, dove si fece le ossa sui sistemi informatici. Dal 1986, con la McAfee Associates, iniziò di fatto una vita diversa e uguale: stessi eccessi e stesse bizzarrie da una parte, la geniale intuizione di creare un programma difensivo per i pc dall’altra. Proteggendoli dalle allora nuove minacce, quelle dei virus.
Candidato (sconfitto) alle primarie del Libertarian Party per le presidenziali del 2016 (avrebbe voluto riprovarci anche lo scorso anno), espatriato in Belize dal 2008 sempre per scappare da una serie di cause legali – una con un dipendente infortunato e un’altra per la morte di uno studente nella sua scuola di volo –, aveva incassato negli ultimi anni le nuove inchieste dal suo secondo Paese: evasione fiscale, per omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi per diversi anni, almeno fra 2016 e 2018, mentre la Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti aveva annunciato di avere intentato una causa civile con cui gli contestava più di 23 milioni di dollari di redditi omessi attraverso una serie di investimenti e speculazioni su criptovalute con dichiarazioni «false e fuorvianti».
Un altro fatto drammatico della sua biografia, forse quello che ha dato la spinta agli avvenimenti dell’ultima parte della sua vita, risale al 2012, quando il suo nome fu accostato alla morte di un vicino di casa in Belize, il costruttore statunitense Gregory Faull, trovato morto nella paradisiaca penisola di San Pedro, confinante col Messico, per un colpo di arma da fuoco. A quanto pare, proprio un paio di giorni prima aveva avuto un confronto furibondo col vicino (già, proprio McAfee), che trascorreva le sue giornate tra chiassosi party a base di droga e giovanissime prostitute, per via dei cani del secondo: alcuni erano stati avvelenati. Qui c’è la storia per intero, solo questa degna di una sceneggiatura. In effetti qualcosa, sul punto, è stato girato: Gringo: The Dangerous Life of John McAfee, un doc del 2016 diretto da Nanette Burnstein sugli anni in Belize di McAfee, nel quale l’ex imprenditore informatico viene accusato di aver ingaggiato per 5mila dollari un sicario locale con l’incarico di torturare e ammazzare Faull, responsabile di aver ucciso i suoi cani (di cui in effetti, in più occasioni, aveva denunciato la pericolosità). Il film non è disponibile per lo streaming in Italia, negli Stati Uniti fa parte della library di Showtime, visibile anche via Amazon Prime Video.
McAfee, al solito convinto di un complotto ai suoi danni da parte del governo locale che avrebbe voluto assassinarlo – a tal punto da costruirsi intorno un allucinante sistema difensivo a base, appunto, di cani da guardia, guardie del corpo e camere blindate piene di armi –, scappò in Guatemala, sottraendosi alle indagini, dove venne comunque arrestato per immigrazione clandestina. Evitò l’arresto simulando un attacco cardiaco e consentendo ai suoi avvocati di guadagnare tempo, evitare l’estradizione in Belize (dove, intanto, volevano interrogarlo per la morte di Faull) e, dopo il diniego dell’asilo politico, essere rispedito negli Stati Uniti. Ma del suo percorso fanno parte aspetti ai limiti della serie televisiva: un laboratorio di antibiotici, sempre in Belize, dove invece le autorità sostenevano si producessero anfetamine; una donazione alla città di San Pedro di pistole, manette e manganelli in un tentativo di pacificazione; il rientro a Miami e poi i diversi trasferimenti fra Portland e Lexington con la nuova moglie, l’ex pornostar Janice Dyson. Il resto, dai pasticci con le criptovalute alla nuova fuga terminata in Spagna, passando per la fake news inventata sul suo presunto arresto in Norvegia durante la pandemia, la rivendicazione di 47 figli biologici, altri arresti negli Usa e le perquisizioni a bordo del suo yacht nella Repubblica domenicana in cerca di armi, è la triste storia dell’ultimo quinquennio.