di Gabriele Fazio (agi.it, 27 gennaio 2022)
“O me o Joe Rogan su Spotify, non entrambi” aveva minacciato Neil Young nei giorni scorsi con una lettera, condivisa poi sui social (ed eliminata poco dopo), indirizzata al proprio manager. Impossibile la convivenza sulla stessa piattaforma della sua musica con The Joe Rogan Experience, uno dei più seguiti podcast del palinsesto statunitense su Spotify che, secondo il cantautore canadese dal passaporto a stelle e strisce, avrebbe diffuso notizie false riguardo l’emergenza sanitaria, appoggiando tesi smaccatamente no vax. Il podcast al momento è ancora disponibile, di Neil Young su Spotify è rimasto solo un disco, il live Paris 1989, l’EP Neil Young At Live Aid e il brano Campfire, composto per la colonna sonora del film Bright, al quale si è prestato in featuring con Shelley FKA DRAM.
Promessa mantenuta, dunque, dall’annuncio alla sparizione della discografia dalla più popolare piattaforma per l’ascolto di musica in streaming sono passati giusto i tempi tecnici, fisiologicamente lunghi considerata l’enorme mole di musica pubblicata da Neil Young nella sua lunga carriera. Spotify ha già risposto al cantautore auspicando il suo rientro tra le fila degli artisti la cui musica è disponibile sulla piattaforma e sottolineando la difficoltà nel bilanciare la sicurezza per gli ascoltatori e la libertà degli autori. Spotify ha presto spiegato al Wall Street Journal quanto sia dura mantenere l’equilibrio tra la sicurezza per gli ascoltatori e la libertà degli autori, e che dall’inizio della pandemia ha già rimosso oltre 20mila episodi di podcast che raccontavano in maniera evidentemente distorta la crisi sanitaria in atto; certo che la situazione si fa più complessa quando a prendere posizione è un influencer del calibro di Joe Rogan.
Al momento comunque sia The Joe Rogan Experience sia la discografia di Neil Young rimangono a disposizione degli utenti di Spotify, ma resta significativo il fatto che il cantautore classe 1945 abbia ancora la volontà di prendere una posizione su temi di scottante attualità. Significativo, ma non una novità: nel corso della sua carriera, infatti, sono tante le battaglie che quello che è considerato il padrino del crunge e il precursore del punk ha intrapreso. La partecipazione a Woodstock insieme al mitico quartetto Crosby, Stills, Nash & Young doveva restare lì, su quella collina, incisa esclusivamente nella memoria dei presenti, per cui si rifiutò di essere ripreso. Con il gruppo Young incise Ohio, brano composto all’indomani del massacro alla Kent State University del 4 maggio 1970, e divenuto in seguito un classico degli inni antimilitaristi degli anni Sessanta-Settanta. Quello stesso anno incise After the Gold Rush, dentro il quale si trovano Alabama e Southern Man, due canzoni con cui Young criticava ferocemente il razzismo, ai tempi ancora ampiamente vivido negli Stati Uniti del Sud. Alle accuse di Young risposero per le rime i Lynyrd Skynyrd, forse la più importante delle band del Sud degli Stati Uniti, con quello che sarà considerato per sempre un capolavoro, la road song per eccellenza, Sweet Home Alabama: un verso del testo recita “Spero che Neil Young lo ricordi, un uomo del Sud non ha bisogno di lui”. Point, Game, Set. Perfino Young stesso alza le braccia e, nell’autobiografia del 2013, intitolata Il sogno di un Hippie, scrive: “La mia canzone Alabama si è largamente meritata la stoccata che mi diedero i Lynyrd Skynyrd con quel loro grande disco. Quando la sento oggi, non mi piace il testo. È accusatorio e sussiegoso, non pienamente ponderato e troppo facile da fraintendere”.
Neil Young continua comunque per tutta la vita a vivere da libero pensatore e artista con l’attivismo nel sangue. Nel 1981 sente la necessità di una totale libertà di sperimentare in musica, una cosa che suonava male alla sua etichetta, la Reprise, così decide di cambiare aria e di firmare per la Geffen Records e comincia a pubblicare dischi nei quali spazia dalla musica elettronica di Trans e Landing on Water al rockabilly di Everybody’s Rockin’, fino al country tipicamente nashvilliano di Old Ways e al rhythm and blues di This Note’s For You; una sperimentazione forse troppo azzardata o forse troppo confusa o forse semplicemente troppo lunga, tant’è che Young viene abbandonato da pubblico e critica e la Geffen Records arriva perfino a intentargli causa accusandolo di produrre volontariamente musica “non rappresentativa” della sua arte. Nel 2006 torna a farsi sentire nell’arena politica grazie a Living with War, album che rappresenta un urlo rabbioso contro il presidente George W. Bush, la sua politica e la guerra in Iraq. Ma non sarà l’ultima volta che attacca un inquilino della Casa Bianca; nel 2017 infatti pubblica Promise of The Real, brano smaccatamente anti-trumpista. Una vera passione quella del cantautore canadese (ma dal 2020 ha anche il passaporto a stelle e strisce) per la musica di impegno sociale. Sul suo sito si trova anche la sezione Songs of the Times, all’interno della quale pubblica brani di artisti di tutto il mondo che si oppongono alla guerra.