di Giorgio Terruzzi (corriere.it, 1° agosto 2021)
Che una maglietta possa determinare un’azione disciplinare è un’assurdità difficile da comprendere. Eppure Sebastian Vettel è sotto processo in Ungheria per aver ostentato una t-shirt arcobaleno — con la scritta «Same love» e mascherina coordinata — durante la cerimonia che precede il Gran Premio. Atteggiamento a quanto pare giudicato irrispettoso nel Paese che l’arcobaleno vieta, al pari di altre libertà, secondo il volere del primo ministro Victor Orban.
«Squalificatemi, ne sono ben felice», ha commentato il pilota tedesco, secondo dietro l’Alpine di Ocon a Budapest. «Durante l’inno nazionale ho tenuto la maglietta. L’ho fatto in sostegno di quelle persone che soffrono in questa nazione perché alcuni fanno leggi che anziché proteggere i bambini probabilmente li minacciano e ne compromettono la crescita. Sono ben felice di incassare qualunque penalità mi vogliano comminare». Alla fine si è preso solo una reprimenda. Vettel aveva già espresso opinioni analoghe nei giorni della vigilia e ha indossato durante il weekend scarpe con l’arcobaleno disegnato sulla tomaia. Anche Hamilton, giovedì scorso, aveva espresso il proprio sostegno alla comunità Lgbt, discriminata in Ungheria, definendo «inaccettabile e codarda» la legge entrata in vigore nel luglio scorso nel Paese di Orban.
La contestazione mossa a Vettel riguarda un non ben definito galateo a proposito dell’atteggiamento da tenere poco prima del via, durante il quale dallo scorso anno l’intera Formula 1 manifesta contro il razzismo. «We race as one» recita il motto promosso continuamente da piloti e team. Il che significa opporsi ad ogni tipo di razzismo. Per questo motivo ogni sanzione inflitta a Vettel — non certo sul piano sportivo — risulta incomprensibile. Un danno d’immagine enorme, peraltro per un intero movimento. Anzi, per l’intero movimento sportivo sensibilizzato ormai contro qualunque discriminazione. La sola accusa promossa dopo la gara all’Hungaroring sembra ora una penosa sconfitta.