di Massimo Basile (repubblica.it, 5 marzo 2023)
Ha parlato per quasi due ore, rilanciando i temi della campagna presidenziale del 2016, quando aveva promesso di ripulire Washington del “deep state”, il mondo oscuro dei burocrati e cospirazionisti. Ma rispetto a sette anni fa Donald Trump ha fatto capire quali saranno i temi della prossima, di campagna. Ha attaccato i big del partito repubblicano, promesso che non tornerà più il partito di Paul Ryan, Karl Rove e Jeb Bush, e avvertito gli sfidanti interni alle primarie: il leader e unico candidato possibile è lui, l’unico in grado di «evitare la terza guerra mondiale».
«Nel 2016» ha detto Trump «dissi: “io sono la vostra voce”. Oggi aggiungo: io sono il vostro guerriero. Io sono la vostra giustizia. E per coloro che hanno tradito: io sono la vostra punizione». «Spazzerò» ha aggiunto «il “deep state”. Licenzierò i burocrati e le ombre oscure che hanno strumentalizzato il nostro sistema giudiziario e riporterò di nuovo il popolo alla guida del Paese». E ha lanciato quello che sarà uno degli slogan della sua campagna: «Finiremo il lavoro», quello cominciato con la sua presidenza. «Sarà la nostra battaglia finale» aveva dichiarato, poco prima di salire sul palco, ai giornalisti. «Lo sanno loro» aveva aggiunto, riferendosi ai big del partito, «lo so io, lo sapete voi, lo sanno tutti. O vinciamo o non avremo più un Paese».
E ai reporter che gli avevano chiesto se avrebbe continuato a fare campagna anche se incriminato aveva risposto: «Assolutamente, non ci penserei nemmeno a lasciare». Se eletto, è il suo mantra, bloccherà per quattro anni tutto l’import dalla Cina, togliendo al gigante asiatico lo status speciale nel commercio. È la sua sfida per “liberare” gli Stati Uniti dalla dipendenza da Pechino. Il tycoon è tornato a fare quello che ama di più: parlare a ruota libera, senza contraddittorio, attaccare, promettere, minacciare. Davanti a lui la platea dell’annuale Cpac, la convention dei conservatori in corso al National Harbor, nell’area di Washington Dc.
Tutta la gente era per lui, compreso l’ex presidente del Brasile Jair Bolsonaro, che ha assistito all’intervento del suo amico. Più volte la platea ha urlato “Trump Trump Trump” e “Usa Usa Usa”, al punto che il tycoon ha commentato: «Non pensavo fosse un comizio, ma in realtà lo è». È così da quattro giorni, da quando è cominciata la convention, in cui sono confluiti gli elettori della base, tutti per lui, quelli che quando la sfidante ufficiale, e al momento unica, l’ex ambasciatore Usa all’Onu Nikki Haley, aveva lasciato il palco per firmare autografi ed era stata inondata dal grido “Trump Trump”.
Poco prima di salire sul palco per il suo intervento, il tycoon aveva già conquistato una vittoria: quella del sondaggio lampo fatto tra i partecipanti, che gli aveva assegnato il 62 per cento di consensi, contro il 20 del suo più probabile sfidante, il governatore della Florida Ron DeSantis. I big che puntano alla Casa Bianca si sono tenuti alla larga: DeSantis, l’ex vicepresidente Mike Pence; mentre l’ex segretario di Stato Mike Pompeo è intervenuto alla vigilia, ma guardandosi bene dallo sfidare ufficialmente Trump.
L’ex presidente è tornato a dire che con lui la Russia non avrebbe mai invaso l’Ucraina, e si è definito l’«unico candidato in grado di evitare la terza guerra mondiale». Ha attaccato i Paesi Nato, ai quali ha chiesto di mettere gli stessi soldi degli Stati Uniti, ha definito Joe Biden e il figlio Hunter «criminali», ha promesso di «costruire» altri 300 chilometri di muro per chiudere l’accesso ai clandestini, di «licenziare tutti i burocrati», di «sfrattare Biden dalla Casa Bianca» nel 2024, di tenere le atlete trans fuori dalle competizioni, e di «salvare» il Paese dai marxisti, dai comunisti, dai drogati e dall’«oblio» a cui «è destinato». E lui si vede nel ruolo di «salvatore» in nome del “Make America Great Again”, rendere di nuovo grande l’America, ma prima dovrà vincere la «battaglia finale».