di Gianni Riotta (huffingtonpost.it, 6 gennaio 2022)
“Un anno fa, in questo sacro luogo, la nostra democrazia è stata attaccata. La volontà popolare è finita sotto assalto. La Costituzione ha affrontato la minaccia più grave. Per la prima volta nella nostra Storia, un presidente, che aveva perso le elezioni, ha provato a impedire il pacifico scambio di poteri, mentre una teppa violenta invadeva il Campidoglio. Hanno fallito. Questa è la verità: l’ex presidente degli Stati Uniti ha creato e diffuso una ragnatela di bugie sulle elezioni del 2020. Perché crede al potere, non ai principi ideali e vede i propri interessi al di sopra di quelli del Paese… Il suo ego sconfitto pesava più della democrazia e della Costituzione. Non ha accettato di perdere… Non si ama il Paese solo quando si vince. Non si è patrioti mentendo. Chi ha invaso Capitol Hill, e i mandanti, hanno puntato un pugnale alla gola della democrazia”.
Con queste parole il presidente democratico Joe Biden ha ricordato al Paese, e al mondo, la storica giornata dell’Epifania del 2021, quando supporter trumpiani, in armi e organizzati, hanno tentato un colpo di Stato nella Capitale. Il discorso, echeggiato con toni analoghi da un intervento della vicepresidente Kamala Harris, segna una svolta nella politica della Casa Bianca. Eletto su una piattaforma unitaria, dopo mesi in cui ha tentato, secondo la sua tradizionale esperienza di senatore centrista, di dialogare con i parlamentari repubblicani moderati e con la destra del suo partito, guidata dal senatore della West Virginia Joe Manchin, Biden prende atto della realtà: 25 punti perduti in consenso da gennaio, inflazione più alta del previsto, Covid Omicron a contagiare il Paese a ritmi record, il ricordo della ritirata mal gestita da Kabul, la sua agenda di riforme sociali e ambientali stoppata al Senato da Manchin, fanno prevedere al pollster Nate Silver una sconfitta alle elezioni di Midterm peggiore di quelle subite da Barack Obama e Donald Trump, con la seguente perdita delle sottili maggioranze a Camera e Senato e la fine dell’iniziativa al Congresso fino alle presidenziali 2024.
La natura di Biden è la storia di un senatore abituato a negoziare con i colleghi del Grand Old Party repubblicano, e poi siglare il compromesso possibile. A 79 anni deve riconoscere, in ritardo e con riluttanza, che quel tempo è passato, l’America è divisa in due, non conciliabili, metà, con i repubblicani ammaliati dalla destra populista e nazionalista di Trump. Le voci raziocinanti, dal senatore Mitt Romney alla deputata Liz Cheney, sono azzittite, i leader del Senato, da Mitch McConnell a Lindsey Graham, che pure avevano condannato l’assalto a Washington, intimiditi dalla pressione della base fedele all’ex presidente. Ma anche tra i democratici, malgrado la mediazione alla Camera della Speaker Nancy Pelosi e al Senato del senatore Schumer (“prendetelo, è un ebreo” gridavano i rivoltosi), la voglia di intesa è minima, e ogni dialogo con l’opposizione viene vissuto come tradimento. Alle corde, Biden cambia pelle e si allinea con gli ex presidenti Obama e Carter denunciando non una manifestazione di estremisti, ma una possibile deriva autoritaria in America, sulla falsariga di quelle dei regimi nell’Est europeo: non a caso, Trump dichiara il suo entusiasmo, stracciando il protocollo diplomatico, per il leader ungherese Viktor Orban.
È un trend politico che tanti analisti europei, in particolare in Italia, stentano a comprendere: siano conservatori o progressisti, sono assuefatti alla stabilità politica e istituzionale degli Stati Uniti e scambiano la situazione attuale per uno scontro di routine tra partiti. Non è così. In un suo editoriale sul New York Times, l’ex presidente Jimmy Carter, 97 anni, premio Nobel per la Pace nel 2002, denuncia “ho paura per la nostra democrazia”, come Obama che dichiara “la democrazia rischia più oggi che un anno fa”. Il 17 dicembre, tre ex generali, Paul Eaton, Antonio Taguba e Steven Anderson, in un comune saggio pubblicato sul Washington Post, ammonivano i colleghi ancora in divisa al Pentagono: “Siamo terrorizzati da un possibile colpo di Stato militare nel 2024”, citando i reduci e i soldati in attività che han presto parte al blitz a Washington, un manifestante su dieci era un ex membro dell’esercito, e il generale Thomas Mancino, ancora in servizio, che si è ribellato a un ordine diretto del presidente Biden sulla politica sanitaria, mettendo la Guardia Nazionale dell’Oklahoma a servizio del governatore repubblicano, malgrado la Costituzione faccia del presidente il capo supremo delle forze armate.
Da parte repubblicana solo l’ex presidente George W. Bush e il senatore Mitt Romney sembrano, apertamente, temere questa possibile svolta autoritaria, mentre i commentatori di destra, come il popolare Tucker Carlson, che medita una sua corsa alla Casa Bianca nel 2024, irridono i democratici. Il governatore della Florida Ron De Santis, a sua volta pronto a candidarsi fra 3 anni, dice che il 6 gennaio è un carnevale democratico, malgrado i 7 morti accertati quel giorno, la catena di suicidi tra i poliziotti presenti, le dozzine di arresti, le condanne comminate a tanti manifestanti, decine di rei confessi. Trump voleva convocare un grande comizio per osservare, a suo modo, “la grande truffa” del 2020, ma lo Stato maggiore repubblicano lo ha dissuaso. Si è dunque limitato a attaccare Biden, insistendo che le elezioni son state falsate e dando sostegno ai dimostranti di allora proclamando che “questo teatrino politico serve solo a nascondere il fallimento totale dell’amministrazione Biden”.
Questo è lo stato di cose presente in America. Ben lo sanno il presidente cinese Xi Jinping, che cancella i diritti a Hong Kong e assedia Taiwan, e il presidente russo Vladimir Putin, che minaccia l’Ucraina e invia teste di cuoio in Kazakistan. Gli europei stanno a guardare incerti, da una parte dipendenti dall’energia russa, vedi il controverso pipeline verso la Germania Nord Stream 2, in parte illudendosi che la difesa degli Stati Uniti li coprirà comunque, come ai tempi della Guerra Fredda, non disposti a investire in spese militari e difesa, scommettendo, a torto, che lo status quo si aggiusterà senza traumi. Il triennio da qui alle prossime elezioni, con una leadership democratica fragile e divisa e un’opposizione repubblicana ostaggio dei nazionalisti, saranno difficili e incerti. Fondata nel 1776, spaccata dalla Guerra Civile nel XIX secolo, la stabilità Usa ha saputo maturare a lungo, liberandosi lentamente e dolorosamente dal retaggio di schiavismo, razzismo, oppressione che l’aveva vista nascere. Gli anni Venti saranno decisivi per il futuro del Paese, con un possibile esito di innovazione e diritti e uno, fosco, di sciovinismo e autoritarismo. La difesa delle istituzioni sarà lunga, aspra, incerta e le democrazie di tutto il mondo dipenderanno dalle scelte americane.