di Claudio Giua (huffingtonpost.it, 27 maggio 2020)
Il 6 novembre, nel terzo anniversario della sua elezione alla presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump superò il record dei record: aver scritto più parole nei suoi tweet di quante ne aveva usate James Joyce nell’Ulysses (pare fossero 265.222). Twittare è di gran lunga l’attività più onerosa di ogni giornata di Potus, l’acronimo con il quale viene identificato l’inquilino della Casa Bianca nelle comunicazioni di servizio.
Il sito trumptwitterarchive.com, che registra ogni sua invettiva, segnalazione e autoadulazione sulla piattaforma di microblogging, ha contato ieri, 26 maggio, 38 tweet: il primo alle 7:05 per ricordare un presunto fallimento di Joe Biden ai tempi dell’epidemia di H1N1, l’influenza suina del 2009; l’ultimo alle 23:07 con un re-tweet di quanto scritto da un conduttore di Fox News, Gregg Jarrett, per rimarcare la maschia reazione di Trump alla collega Maria Bartiromo che gli aveva chiesto di quanto, a suo giudizio, Barack Obama fosse informato sulle prime indagini sul Russiagate («… di tutto», era stata la risposta).
Sono però il secondo e il terzo tweet di giornata, entrambi delle 7:17 di martedì ora di Washington, a cambiare la storia del rapporto tra Trump e il suo più frequentato social medium. E, forse, del futuro dei social tout court. Vanno letti in sequenza i due tweet, che per semplicità traduco a impronta: «Non c’è alcun modo (alcuno!) per far sì che il voto per corrispondenza non sia sostanzialmente fraudolento. Le caselle postali verranno derubate, le schede elettorali falsificate e persino stampate illegalmente e firmate in modo fraudolento. Il governatore della California sta inviando schede a milioni di persone: chiunque viva nello Stato, non importa chi sia o come sia arrivato lì, ne riceverà una. Alcuni incaricati diranno a tutte queste persone, molte delle quali non avevano mai pensato di votare, come e per chi votare. Questa sarà un’elezione truccata. Non c’è modo che non vada così!». A innescare l’allarme mattutino di The Donald è stato probabilmente qualcosa appena ascoltato su Fox News, la sua principale fonte d’informazione personale.La faccenda del voto per corrispondenza è tecnica e, sinceramente, secondaria rispetto alla tragedia del Covid-19 che sta travolgendo le Americhe. Fatto sta che Twitter stavolta non ha lasciato che Trump diffondesse le sue quotidiane fake news senza intervenire. Dopo qualche minuto, in calce ai due post presidenziali è apparsa questa frase con relativo link: «Accerta qui i fatti sul voto per corrispondenza». Cliccandola, si entra in una pagina gestita dal social network dove si mettono in evidenza tutte le posizioni sull’iniziativa di far votare più elettori per corrispondenza in modo da garantire una maggiore partecipazione in presenza dell’epidemia da Coronavirus. In buona sostanza, Twitter ha corretto coram populo il presidente degli Stati Uniti, segnalando che la sua versione dei fatti è parziale: avendo egli 80 milioni di follower, non è irrilevante il fatto che dica la verità o il falso, che dia informazioni corrette o fuorvianti. Questo cambiamento di linea del network fondato da Jack Dorsey mette Trump nella stessa condizione di qualsiasi altro utente, al quale la policy aziendale vieta il bullismo, le molestie, i “discorsi di odio”, la diffusione di fake news eccetera. È noto che Twitter concede speciali esenzioni al presidente e ad altri personaggi politici per tweet che costituirebbero violazioni per normali cittadini. Lo fa perché poter valutare quel che scrivono persone con cariche istituzionali è comunque utile, anche quando i tweet contengono fandonie: sono, cioè, post considerati di pubblico interesse. L’intervento a piedi uniti su Trump significa però che, a poco più di quattro mesi dalle elezioni presidenziali, sono stati superati anche i limiti del recinto allargato garantitogli finora.
Sempre ieri, tuttavia, il social non ha bollato come altrettanto falso o inaccurato un violentissimo tweet riguardante un cold case che coinvolgerebbe un conduttore tv ed ex parlamentare della Florida accusato da Potus di aver provocato, vent’anni fa, la morte di una giovane collaboratrice. Molti commentatori hanno sottolineato la differenza di trattamento dei tweet sul voto per corrispondenza e di quello sul “caso Scarborough-Klausutis”. Può essere, ma mediaticamente la novità è un’altra: da ieri Twitter è a tutti gli effetti un editore. Non una piattaforma editoriale dove chiunque scrive quel che gli pare bensì un medium dove tutti sono sottoposti alle stesse regole, come avviene in un giornale, in un talk show televisivo, in un programma di informazione radiofonico, in un sito di news e commenti. Testate che hanno editori che rispondono di quanto scritto, mostrato o detto. Che prevedono la presenza di un responsabile che controlla e richiama o addirittura esclude chi non sottostà alle norme di comportamento stabilite dal padrone di casa. Per Trump non è una buona notizia, per la libertà di stampa e la democrazia sì. A breve ne vedremo gli effetti.