Dal nuovo libro di Panarari in uscita da Le Monnier, Poteri e informazione. Teorie della comunicazione e storia della manipolazione politica in Italia (1850-1930). Tra pubblicità politica e commerciale, il vasto campionario della comunicazione ingannevole
di Massimiliano Panarari (lastampa.it, 2 maggio 2017)
Vasto e piuttosto vario è il campionario della «comunicazione ingannevole». Dalla menzogna (la costruzione e lo «spaccio» di falsità) alla manipolazione di frame (che prevede l’operato intenzionale di alcuni soggetti nella costruzione di «cornici» ermeneutico-interpretative alterate o distorte per diffondere nei destinatari e nel pubblico una falsa percezione e ricezione dei messaggi inviati), il repertorio in materia si rivela considerevolmente nutrito.La storia e i metodi della comunicazione politica (nonché di quella pubblica a fini persuasivi), fino all’approdo odierno della campagna elettorale permanente, si intersecano così a più riprese, e in più (numerose) occasioni, con le prassi – e le teorizzazioni – della propaganda e della manipolazione. Termini e concetti questi ultimi non coincidenti, ma che rimandano al medesimo campo semantico e di significazione, quello della distorsione della realtà a fini persuasivi e di consolidamento del potere politico e sociale, oppure, in un altro ambito (quello economico-aziendale-commerciale), di promozione e vendita di prodotti (per il quale vale la locuzione di «pubblicità», a sua volta parola polisemica, che ha mutato pelle e cambiato significati in Occidente nel corso dei diversi periodi storici). Si rivela pertanto sintomatico che, nell’attuale epoca di crisi di legittimità dei sistemi politici di matrice e origine liberaldemocratica e di estensione sempre maggiore, e sempre più irresistibile, della sfera economica nella vita pubblica (tendenze ambedue databili sostanzialmente alla fine degli anni ’70 del XX secolo), i confini tra «propaganda politica» e «pubblicità commerciale» siano saltati, e i travasi e i «prestiti» tra i vasi comunicanti di questi (e altri) ambiti risultino continuativi e costanti (anzi, permanenti). Si tratta precisamente di uno degli svariati esiti della contemporanea postmodernità o tarda modernità, in seno alla quale le distinzioni, le divisioni e i recinti caratteristici e costitutivi del Progetto moderno di derivazione illuministica sono stati ampiamente travalicati – e spesso sovvertiti – e la contaminazione è diventata la consuetudine «mischiando le carte» in misura irreversibile.
La «manipolazione»
Il termine «manipolare» proviene dal latino medievale e designa in origine un’attività di tipo manuale, quella dell’artigiano che plasma e realizza i suoi manufatti o del cuoco che prepara gli alimenti, l’uno e l’altro intenti a mescolare con le mani elementi diversi per il conseguimento dell’obiettivo che si prefissano (e, quindi, la realizzazione del prodotto). Nella «manipolazione» nell’accezione primigenia compariva dunque già la dimensione ambivalente dell’intenzionalità (l’oggetto viene manipolato «a proprio piacimento» da parte di chi effettua l’operazione e l’attività) e quello dell’alterazione mediante l’intervento delle caratteristiche «naturali» e originarie di un oggetto (che viene «manipolato»), ovvero per estensione della sua sofisticazione, contraffazione e falsificazione. Un concetto quello di manipolazione, come ha scritto il sociologo della comunicazione e dei processi culturali Guido Gili, che va tenuto rigorosamente distinto da altri a essa associati nel linguaggio comune, nel cui ambito vengono frequentemente impiegati alla stregua di sinonimi: «Se un soggetto A intende spingere un soggetto B a compiere una determinata azione, egli può usare diverse strategie. […] La manipolazione è un tipo di influenza diverso sia dalla coercizione sia dalla persuasione. È diversa dalla coercizione perché A cerca di alterare i fattori interni e soggettivi (non quelli esterni e obiettivi) della situazione di scelta di B. Al tempo stesso è diversa dalla persuasione poiché non fa appello prevalentemente all’adesione razionale di B, ma mira a condizionarne comportamenti, atteggiamenti e idee senza che B ne sia effettivamente o pienamente consapevole».
Nell’età contemporanea
Per quanto concerne la propaganda, ha sostenuto il sociologo (di orientamento anarchico) e teologo francese Jacques Ellul, essa «è sempre esistita ogni qual volta c’è stato un potere organizzato che ha operato su una massa di popolazione relativamente concentrata. Poteva trattarsi o d’integrare maggiormente i gruppi e gli individui nella società, o di stabilire la legittimità del potere politico, o di ottenere un determinato numero di comportamenti e di adesioni, o infine di lottare contro le influenze esterne […]». L’affinamento (in profondità) e l’allargamento (in estensione) degli strumenti di manipolazione e propaganda avvenne così di pari passo con la crescita della complessità e la ramificazione degli apparati del potere, in concomitanza temporale con l’ingresso dell’Europa in quella che la storiografia qualifica come età moderna. E il «compimento» del processo di tecnicizzazione della propaganda, ovvero l’organizzazione e la razionalizzazione (con il necessario corollario della burocratizzazione) di tale dispositivo e complesso di attività, si verificò nell’epoca contemporanea, tra Stati-nazione impegnati internamente nel conflitto sociale ed esteriormente nella competizione della politica di potenza, contesto di egemonia e guerra tra le ideologie (di cui la propaganda era un aspetto vitale) e (più tardivamente) di sviluppo delle forme della comunicazione aziendale come componente dello spazio e del discorso pubblico.