di Giovanni Battistuzzi (ilfoglio.it, 23 gennaio 2024)
Per uno come lui, come Gigi Riva, per il quale l’appartenenza a un’idea era tutto, ma un’appartenenza a un’idea di vita e territorio grande come un’isola, la Sardegna, non c’era posto per le divisioni. Soprattutto quelle inutili, a volte meschine, della politica. Non facevano per lui. Per quanto politico, in un modo o nell’altro lo è stato. Suo malgrado. Gigi Riva era un altrove.
Un altrove calcistico e di vita, l’uomo diventato simbolo di un calcio provinciale che proprio nell’orgoglio della provincialità è diventato vincente. Non ha avuto bisogno di andare alla Juventus, all’Inter o al Milan per vincere. Lo scudetto l’ha portato a Cagliari, se l’è regalato regalandolo all’isola. L’ha vinto alla guida, in campo, di una squadra di buoni giocatori, alcuni ottimi – c’erano Enrico Albertosi, Giulio Zignoli, Pierluigi Cera, Nené e, soprattutto, Angelo Domenghini –, condotti, dalla panchina, da un allenatore mite, preciso e capace come Manlio Scopigno.
Per uno come lui, come Gigi Riva, c’era chi era pronto a tanto, forse a tutto. Perché, si leggeva in una lettera del febbraio 1988 inviata dall’ex presidente della regione Sardegna, Salvator Angelo Spano, all’allora segretario della Democrazia Cristiana, Ciriaco De Mita, «ancora adesso, a vent’anni dallo scudetto, se Gigi Riva chiedesse ai sardi di staccarsi dall’Italia per annettersi alla Francia ci sarebbe moltissima gente disposta a seguirlo». Spano cercava di convincere De Mita a fare di tutto per averlo nelle liste regionali. Non andò bene. Riva rifiutò con cordialità, analogamente a come aveva detto no agli ammiccamenti dei socialisti qualche anno prima.
C’aveva provato Bettino Craxi in persona a convincerlo. S’erano visti a Cagliari, Craxi sapeva delle simpatie socialiste dell’ex capitano dei rossoblù, ma non ci fu verso. Leggenda vuole che all’allora segretario di un Psi che da lì a un anno avrebbe ottenuto l’11,4 per cento alla Camera e al Senato e, soprattutto, l’accesso alla Presidenza del Consiglio il 4 agosto 1983, avesse risposto «non sarò certo io a distruggere quel sentimento d’unità che quel Cagliari riuscì a costruire».
Non fu comunque Craxi il primo a pensare e contattare Gigi Riva per portarlo in politica. Ci aveva provato il Partito Sardo d’Azione nel 1978 in vista delle elezioni regionali dell’anno successivo. Il segretario Michele Columbu e l’assessore di Cagliari Carlo Sanna tentarono di arruolare l’attaccante in nome di un’unione territoriale della Sardegna che solo lui e il loro partito potevano rappresentare. Gigi Riva aveva smesso di giocare da poco più di un anno ed era entrato nella dirigenza della società rossoblù. Disse ai suoi interlocutori di avere a cuore le sorti della Sardegna, ma che il Cagliari poteva risolvere più problemi del Consiglio regionale. I due non la presero per nulla bene.
Il colpaccio lo tentò anche Silvio Berlusconi per le elezioni regionali del 2004. Il mito di Gigi Riva era ancora vivissimo a Cagliari e in Sardegna – lo è ancora, a dire il vero – e, su suggerimento del candidato presidente Mauro Pili, Berlusconi provò a convincerlo ad accettare la candidatura. Il no, raccontano le cronache di allora, fu «secco e spazientito», soprattutto «definitivo». Riva era allora team manager della Nazionale italiana, o meglio, come lui preferiva dire, era «quello a cui i giocatori potevano rivolgersi». Due anni dopo, nel 2006, fu attorno a lui e a Marcello Lippi che la Nazionale si compattò, dopo gli scandali di Calciopoli, prima di salire in Germania a giocare i Mondiali. Com’è finita lo sappiamo tutti.