di Antonella Napoli (articolo21.org, 26 aprile 2020)
A 21 giorni dall’addio a Helin Bölek, sua amica e compagna di lotta contro l’ingiustizia che stavano subendo insieme agli altri membri della loro band, i Grup Yorum, anche Mustafa Koçak, 28 anni, ha ceduto al 297° giorno di sciopero della fame nel carcere di Sakran. Il suo fisico non ha retto oltre l’estrema forma di lotta iniziata per chiedere la sua scarcerazione e quella degli altri amici detenuti e per denunciare il bando imposto ai loro live e alle altre attività culturali della band che dal 2016 non può più tenere concerti.Mustafa, come Helin e molti altri prigionieri politici, accusati di terrorismo solo per aver esercitato il diritto alla libertà di espressione e aver manifestato il proprio dissenso verso il governo del presidente Recep Tayyip Erdogan, non hanno avuto un giusto processo. Koçak era stato condannato all’ergastolo con l’accusa di aver tentato di rovesciare l’ordine costituzionale. L’artista non solo si era dichiarato innocente, ma aveva denunciato di aver subito torture in carcere. Eppure la sua unica “colpa” era quella di aver dedicato la sua vita ai Grup Yorum, storica band nata nel 1985 e molto conosciuta anche in Europa.
Le persecuzioni nei confronti dei componenti del gruppo sono iniziate quando nel loro repertorio sono comparsi testi in cui cantavano il dissenso di un’intera generazione che non era più disposta ad accettare la limitazione delle libertà di pensiero e di espressione imposte da Erdogan. Mustafa e Helin erano tra i componenti più giovani dei Grup Yorum, ma erano entrambi a Istanbul sul palco del live che consacrò la versione turca di Bella ciao tra le interpretazioni più intense di sempre. La stessa che già dall’aprile del 2013, quando cominciarono a radunarsi i primi piccoli presidi contro la costruzione di una caserma al posto di Gezi Park, polmone verde di Istanbul, intonavano i manifestanti poi brutalmente dispersi nei mesi a seguire.
Di Mustafa Koçak, ridotto a uno scheletro che pesava 29 chili, e di Helin Bolek, che si è spenta a Istanbul dopo 288 giorni di privazione di cibo autoimposta che l’aveva resa fragilissima nel fisico, senza intaccarne la determinazione, resterà il ricordo, i loro bei sorrisi e il loro sacrificio, affatto vano, che ha ridato vigore alla battaglia non-violenta contro le repressioni di un regime che non ammette dissenso. Erdogan continua a punire oppositori politici e giornalisti che non si sono piegati alle logiche autoritarie del suo governo, come ha dimostrato con il recente atto di indulgenza nei confronti di 90mila detenuti che ha escluso tanto i prigionieri politici e gli attivisti quanto operatori dell’informazione e intellettuali come Ahmet Altan, scrittore di fama internazionale, e Osman Kavala, imprenditore e filantropo di alto profilo conosciuto ben oltre i confini turchi. Entrambi pagano per essere rimasti uomini liberi, come ogni essere umano è per diritto.