di Alessio Lana («Corriere della Sera», 1° settembre 2018)
In tempi di messaggi promozionali che non danno scampo neanche sui social, è di moda pubblicare i dischi a sorpresa, senza anticipazioni. Lo ha fatto anche Eminem che all’alba di un venerdì di fine agosto (negli States era notte fonda) ha pubblicato Kamikaze, il suo nuovo album.Tradizionalmente schivo, di ben poche parole quando non è sul palco a rappare, Eminem ha annunciato il disco su Twitter con un laconico «Ho cercato di non pensarci troppo… Godetevelo». Sotto il messaggio ecco la copertina che ricalca quella di Licensed to ill, l’album d’esordio dei Beastie Boys (quello con Girls, Hold it now, Hit it, No sleep till Brooklyn). All’interno del disco, l’artista (reduce da una data milanese da 80mila presenze) propone 13 nuovi brani tra cui quello scritto per la colonna sonora di Venom, il film incentrato sul supernemico di Spider-Man in uscita il 4 ottobre. A parte questa, un po’ fuori contesto, il resto sono 40 minuti di veleno puro abbinato alle basi potenti, profonde e incalzanti di Dr. Dre, produttore di lungo corso che è una garanzia (vedi The ringer e Lucky you). Kamikaze è un album importante, è il disco che rappresenta la rinascita del rapper dopo il precedente Revival, lavoro del 2017 che più che dare nuova linfa al rapper l’aveva affossato sotto un mare di critiche. Lui, l’uomo capace di prendersela con tutti, di urlare contro colleghi, manager, donne e omosessuali, aveva preso malissimo le critiche e in Kamikaze risponde. Riversa nel disco la rabbia e la cattiveria accumulata negli ultimi mesi, torna ruggente come in passato, quando ragazzino squattrinato di periferia non voleva altro che emergere dallo squallore in cui viveva. E la sua musica ne risente. In meglio. «Davvero deriderai quelli che… hanno detto qualcosa che non ti è piaciuto su di te o sulle cose su cui stai lavorando?», chiede un preoccupatissimo Paul Rosenberg, il suo manager, in una traccia parlata inserita nell’album. E la risposta è sì. Eminem spara a zero sui giornalisti che non hanno capito Revival e mettono in dubbio le sue doti autoriali, sul collega Drake che avrebbe dei ghost writer, sul rapper Tyler, the Creator, il creatore, «che non crea nulla». E poi c’è Donald Trump, l’ospite di riguardo. Nel 2017 Eminem lo aveva definito «un kamikaze che provocherà un olocausto nucleare». E così sembra spiegarsi quel titolo così curioso. Poi però attacca: «Ha mandato il Secret Service… per vedere se veramente penso di fargli del male e per chiedermi se sono legato ai terroristi». Se la prende con le parti intime del vicepresidente Mike Pence e anche con Harvey Weinstein, il «palpeggiatore», che gli dovrebbe dei soldi. Una rima velenosa infine la rivolge a sé stesso. Giunto alla soglia dei 45 anni, ricorda di quando è «arrivato ai 40 come un alcolizzato, con una bottiglia di malt liquor», la birra ad alta gradazione preferita dagli spiantati. Insomma, Eminem è migliore quando è cattivo, morde di più quando viene morso, e se i suoi primi album ne erano la prova, questo Kamikaze ne è la conferma.