di Guia Soncini (linkiesta.it, 7 settembre 2020)
Nelle due settimane tra il 21 agosto e oggi c’è tutta la distanza che separa la leadership di chi maneggia i media come fossero plastilina e il tentativo di leadership di chi pensa che basti pensare e dire cose giuste, tutto l’abisso che divide una camicia di jeans da una camicia di jeans. Il 21 agosto, sul canale YouTube di Vogue viene caricato un video di diciotto minuti. È una lunghezza spropositata. Chi ha tempo per diciotto minuti? Una storia di Instagram sono quindici secondi, ormai è quella la nostra soglia d’attenzione.Due settimane dopo, il video è a due milioni e spicci di visualizzazioni. In esso Alexandria Ocasio-Cortez – deputata, miglior portoricana uscita dal Bronx dopo Jennifer Lopez, grande speranza della Sinistra americana – fa quel che fanno migliaia di beauty influencer in tutto il mondo: fa vedere che creme si mette in faccia e come si trucca. Lo fa parlando delle creme ma anche d’altro, e – siccome ella è l’Alessandro Baricco della politica americana – tutti, anche chi come me non la può soffrire, la stiamo a sentire mentre incanta serpenti e ci convince che essere donne significhi essere discriminate e quindi mettersi il rossetto rosso sia una presa di potere. Due settimane dopo, Elly Schlein è sulla copertina dell’Espresso. Che, certo, non è la copertina di Vogue, ma è pur sempre una copertina. Elly Schlein piace a tutti quelli che non trovano che i grandi partiti siano mai abbastanza di Sinistra (è stata civatiana, qualunque cosa significhi), e anche agli altri. Fa la vicepresidente dell’Emilia, ha preso un sacco di preferenze, è andata dalla Bignardi e, nell’epoca più identitaria che ci sia, ha risposto a una domanda sulla sua vita sentimentale con la meno identitaria delle frasi: «Ho amato molti uomini, ho amato molte donne, in questo momento sto con una ragazza» (i giornali titolarono tutti «coming out», ma quello mica è colpa sua, è che siamo cani di Pavlov, un fischio è un fischio, non si va per il sottile).
Sabato, su Facebook, Nicolò Cerioni, stylist piuttosto noto, ha scritto, a commento della copertina dell’Espresso: «Mi offro per curare l’immagine dei politici di Sinistra. Ma la Ocasio-Cortez si fa fotografare in camicia di jeans e con una piega da comunione a Falconara Marittima? La Schlein mi piace, aiutiamo questi politici a sembrare tali. Civati sembra un cantante indie che non ce l’ha fatta. Zingaretti sembra uno di quelli che bevono il bianchino al bar la mattina. Basta con l’estetica del brutto e dello squallore next door: per quello c’è Salvini». Ci sono due cose da dire di queste righe. La prima è che per fortuna Cerioni ha sempre e solo inappuntabili posizioni di Sinistra, ed è un emblema di presentabilità sociale: ha un marito, hanno due bambini, veste tutta la gente che piace da Favino ad Achille Lauro passando per Jovanotti. Se un’osservazione del genere l’avesse fatta qualcuno d’impresentabile (non so: io), si sarebbero aperte le cateratte d’una delle più diffuse bugie della contemporaneità: le osservazioni estetiche le fate solo alle donne. (No, i due esempi maschili non sarebbero bastati a salvare chi, nella società dell’immagine, avesse osato commentare un’immagine). La seconda è che il problema non è la camicia di jeans, e Cerioni lo sa benissimo. In camicia di jeans è stata fotografata Afef Jnifen (la più bella donna d’Italia), ma pure Kim Kardashian (una che non si può dire non badi all’immagine); camicie di jeans sono state addosso a Kaia Gerber sulla copertina di Teen Vogue, e a Zoe Saldana su quella di Marie Claire; ad Alexandria Ocasio-Cortez la camicia di jeans sta come un collo di volpe ad Ava Gardner; una rosa sarà una rosa, ma una camicia di jeans non è una camicia di jeans.
Non è il tessuto della camicia a dare l’effetto «sono venuta come stavo per casa, perché sono una donna di contenuti, mica mi occupo di scemenze quali la fotogenia» (il passaggio dell’articolo che dice «tra una riunione in Regione e la realizzazione del servizio fotografico in questa pagina [considerato un supplizio]» conferma l’insofferenza a ciò che concerne l’immagine da parte della signora Schlein). E l’effetto, infatti, permane nella foto in cui ha un abito e in quella in cui ha un trench. Tuttavia non è venuta come stava per casa: c’è uno stylist accreditato nelle pagine dell’Espresso, ed è uno sul cui Instagram c’è Loredana Lecciso, e insomma niente fa sospettare che sua sia l’estetica penitente. Dev’essere proprio Elly Supplizio Schlein che, come diciamo a Bologna, non ne vuole mezza. Giacché siamo pur sempre il Paese in cui, se vuoi essere presa sul serio, devi essere seriosa (nel servizio fotografico c’è una foto simile a quella della copertina, ma in cui Schlein ride: è molto meglio, e mi sarebbe piaciuto assistere alla discussione durante la quale s’è deciso che non fosse un’immagine sufficientemente autorevole per la copertina. Barack Obama poteva permettersi di ridere nelle foto, una Schlein che ambisca al potere politico invece non dev’essere troppo sguaiata: sarà sessismo o un complesso di noialtre italiane?). Eppure Elly Schlein sa che il colore è importante, per capirlo basta leggere l’aneddoto precisissimo con cui nell’intervista pitta Romano Prodi: «Una delle prime volte in cui lo incontrai, stava correndo al parco: mi affiancai per raccontargli la mia indignazione verso un certo proclama della Lega. Gli dissi: “Professore, corro con lei?”, ma dopo un po’ dovetti lasciarlo andare via, avevo il fiatone».
Ma un conto è la nota di colore, un conto sono i vestiti. Fosse il calcio, grande romanzo popolare; ma la moda: una frivolezza, per carità. Però forse rifiutare di vestirsi consona a una copertina, essere così sé stessa sestessamente che nessuno osa importi un parrucchiere, non è un integralismo che meriti lodi, come sembra pensare chi lo pratica. È un limite, un segno di poca adattabilità al contesto e quindi di poca intelligenza: è come andare al Senato col laccio da cowboy al posto della cravatta. L’infermiera divenuta famosa per essersi fotografata coi segni lasciati dalla mascherina dopo aver lavorato nel reparto che curava gli infetti del virus l’altra sera era a Venezia: aveva il suo bravo trucco, il suo bravo parrucco, il suo bravo abito da sera. Da reparto ti ci vesti in reparto. O forse non è neanche quello. È che le esportazioni di moda italiana valgono una settantina di miliardi di euro di ricavi, che se aggiungiamo accessori e trucchi – quelli che ci fa vedere la Ocasio, ma non le sue omologhe di qui – diventano più o meno novanta. Quanti Ronaldo si devono vendere per arrivare a novanta miliardi? Uno stratega politico americano del secolo scorso vi avrebbe spiegato che altro che frivolezza: it’s the economy, stupid. L’economia, e la copertina: ve li vedete Time o Newsweek a mettere in copertina una con una piega malfatta, a fare una copertina che punti sul ricatto contenutista «è giovane, è di Sinistra, è pure donna: mica vorrai dire che non ti piace?», invece d’essere condivisa sui social per la bellezza dell’oggetto da guardare («l’oggetto» è la copertina, non sto oggettivizzando la Schlein; e il fatto di precisarlo è la mia resa al vivere nella patria degli analfabeti funzionali).
Schlein è la vice di Stefano Bonaccini, il quale è irriconoscibile nelle foto di dieci anni fa. Ed è così gongolante d’essere dimagrito, d’essersi infighettito, d’aver trovato il look occhiale a goccia da guardia del corpo e pantalone elasticizzato con risvoltino a scoprire la caviglia da architetto milanese che, a ogni comunicazione alla nazione su qualsivoglia tema, allega una propria foto. Chissà le riunioni tra quei due. Chissà che lingua in comune potranno mai avere, una che trova le foto un supplizio e uno che posta compiaciuto una propria foto anche se deve annunciare la riapertura delle scuole. Chissà che reality strepitoso ne verrebbe, con lui che fa i video in cui insegna ad abbinare gli occhiali da Sole al risvoltino e lei che sbuffa se qualcuno tenta di pettinarla.