di Angélique Kidjo (linkiesta.it, 12 giugno 2023)
La musica unisce moltissime forme di vita su questo pianeta – dalle canzoni degli uccelli al frinire dei grilli fino al canto delle balene, passando per il borbottio dei ruscelli e il frusciare delle foglie. La musica risiede negli angoli della memoria di moltissimi di noi, me inclusa. Infanzia, età adulta. Tempi felici e momenti tristi. Quando ero una ragazza nel Benin degli anni Sessanta, la musica era tutto intorno a noi.
I musicisti tradizionali ci insegnavano meravigliose canzoni sulla storia e sulle leggende del mio Paese. La nostra cultura era perlopiù orale e moltissime persone conoscevano a memoria centinaia di canzoni e di frasi proverbiali, e le cantavano attraverso ritmi molto complessi. Ma, contrariamente a quanto si crede, quella musica non era immutabile. Benché alcune melodie abbiano attraversato i secoli, il folklore e le canzoni evolvono costantemente quando si adattano a nuovi posti o a nuove epoche. Ed è questo che le rende senza tempo. Qualche anno fa, ad esempio, ero a Salvador, in Brasile, e ho assistito a una cerimonia candomblé in cui i discendenti degli schiavi stavano cantando canzoni religiose yoruba. Con mia sorpresa, ne ho riconosciuta qualcuna. Erano sopravvissute per centinaia di anni e ora risuonavano con dei nuovi significati.
Di primo acchito, sembra che il mondo stia cambiando rapidamente, e non sempre per il meglio. Ovunque ci sono divisioni e la moderna tecnologia ha accorciato la nostra curva di attenzione. Sono finiti i tempi delle canzoni lunghe otto minuti e con assoli infiniti. Ora molte canzoni sono di due minuti e mezzo, o ancora più corte. Ogni settimana vengono pubblicate migliaia di canzoni. Alcune diventano virali e creano nuovi trend e nuovi stili che poi vanno fuori moda alla stessa velocità. Tutto ormai sembra diverso da prima e ci sentiamo soverchiati ma, al fondo, abbiamo sempre cercato la stessa cosa e ancora la stiamo cercando: siamo sempre alla ricerca di quella cosa nuova, di quel qualcosa che ci sembri allo stesso tempo fresco e familiare. Un qualcosa che accenda quella sensazione di eccitamento e che ci sembri essere un ricordo indimenticabile in divenire.
Considerate da questo punto di vista, tutte la novità che ci sono nel mondo – e anche quelle che si sono nella musica – non sono poi male. Sono un modo per avere di più: più musica, più memoria, più connessione in tutto il mondo: un modo più importante e più significativo di esprimerci. La musica africana, in particolare, sta traendo beneficio da un’evoluzione tanto rapida, al punto che sembra che essa stia conquistando il mondo. Fin dalla loro prima apparizione sulle scene, artisti come Yemi Alade, Wizkid, CKay e Fireboy Dml usavano la nuova tecnologia per produrre musica sofisticata senza dover dipendere da grandi somme di denaro provenienti dalle major. Le piattaforme di streaming hanno reso più semplice raggiungere un pubblico e arrivare alle persone direttamente.
Io trovo d’ispirazione nel lavorare con questa generazione di artisti africani, perché il modo in cui la loro musica si sente e mi fa sentire è quella miscela perfetta di freschezza e familiarità. Giovani artisti come Burna Boy, il primo headliner nigeriano (e con il tutto esaurito) al Madison Square Garden, stanno brillando sulla scena mondiale perché non cercano più di imitare la musica occidentale, ma guardano alla musica tradizionale dei loro Paesi e ai molti artisti che li hanno preceduti, come Fela Kuti, Salif Keïta o la sottoscritta.
Questi artisti stanno seguendo il consiglio che io do spesso, ovvero: «Il mondo non ha bisogno di un altro Jay-Z, ne abbiamo già uno. La musica tradizionale in Africa è così ricca di ritmi incredibili. Devi usare quel tesoro nello stesso modo in cui Frédéric Chopin, George Gershwin e Béla Bartók si sono ispirati alle canzoni popolari dei loro Paesi d’origine». Ora la libertà e l’energia che hanno sempre costituito la spina dorsale della musica tradizionale africana vengono tradotte, esportate e apprezzate in tutto il mondo. Il ritmo dell’afrobeat – quella miscela di clave africana che incontra il dancehall, la musica latina e la dance – sta entrando nel mainstream.
Quelle percussioni trasmettono la potenza e il calore che sono il battito del cuore dell’Africa. Riecheggiano nel nostro dna comune, perché siamo tutti discendenti dell’Africa, e l’immagine del continente sta cambiando per riflettere tutto ciò. Quanta strada abbiamo fatto rispetto a delle persone ridotte in schiavitù che cantavano di nascosto, mentre le canzoni popolari delle popolazioni indigene di tutto il mondo venivano sradicate? La popolarità di questi nuovi artisti è il primo segnale del profondo cambiamento del modo in cui viene percepito il continente africano – e dei modi in cui la nostra gente, secondo i suoi diversi costumi e le sue diverse culture, sta reclamando una nuova e più ampia influenza.
Una specifica canzone può costituire un punto di svolta nella propria una vita – e io, ad esempio, so che l’ascolto di Pata Pata di Miriam Makeba ha avuto su di me quell’effetto. Era una canzone che ti trasmetteva una sensazione confortante che ti trasportava in uno spazio di comunità e di appartenenza, anche se non ne capivi il testo. Il cambiamento musicale che stiamo vedendo oggi, insieme ai progressi tecnologici che lo rendono possibile, sta creando un fenomeno di proporzioni globali. La musica africana non è più nascosta dietro i generi mainstream che essa ha influenzato, come il blues, il jazz e il rock: ora è una forza mainstream a sé stante, che brilla in piena luce, e spero che questo annunci un cambiamento nel modo in cui l’Africa nel suo insieme viene vista e trattata, e che le persone vedano riflesse in questa musica le loro radici condivise.
Se le persone di tutto il mondo – chiunque esse siano e qualunque aspetto esse abbiano – ballano al ritmo dell’afrobeat, allora forse abbiamo tutti più cose in comune di quanto siamo stati indotti a credere. Dopotutto, questi ritmi – della musica, dell’umanità, della memoria – sono ciclici. Non possono essere dimenticati, perché sono più profondi e più forti delle parole. La musica è memoria incarnata che trascende il tempo e le frontiere, e tiene traccia sia di chi siamo sia del modo in cui siamo cambiati.