di Oliver Burkeman (“The Guardian” / internazionale.it, 28 agosto 2019)
Di questi tempi il mondo è così confuso, politicamente parlando, che è facile pensare che lo siano anche i motivi per cui ci confonde. E se invece fossero semplici? E se, per esempio, una delle ragioni dell’ondata di populismo degli ultimi anni – Trump, la Brexit, l’ascesa dell’estrema destra in Europa – fosse che gli elettori hanno visto troppa tv spazzatura, che gli ha mandato in pappa il cervello?
È detestabile anche solo contemplare questa possibilità, visto che fa il gioco del pregiudizio metropolitano secondo il quale l’altra parte è sempre stupida. Ma uno studio rigoroso e ricco di dati [Ruben Durante – Paolo Pinotti – Andrea Tesei, “The Political Legacy of Entertainment TV”, in American Economic Review, Vol. 109, no. 7, July 2019 (pp. 2497-2530) — N.d.C.] rende più difficile scartare l’idea solo perché è nauseante. I suoi autori hanno studiato la diffusione dei canali del gruppo Mediaset in Italia e hanno scoperto che chi da bambino è stato più esposto ai suoi cartoni, alle telenovele e ai quiz ha il dieci per cento di probabilità in più di votare i partiti populisti, perché a causa delle sue minori capacità cognitive è più incline a credere ai politici che propongono tesi semplicistiche.
Il saggio, pubblicato dall’American Economic Review, è affascinante anche per le teorie che respinge. È facile pensare che, dato che Mediaset appartiene a Silvio Berlusconi – il cui figlio adesso ne è l’amministratore delegato –, i suoi programmi siano stati usati per fare propaganda alla destra. Ma durante il periodo in questione sulle sue reti c’erano pochi programmi di informazione, e comunque “l’effetto Mediaset” ha funzionato anche a favore del suo rivale vagamente di sinistra, il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo: è stato il populismo, non il berlusconismo a essere incentivato.
Una questione di opportunità
Pensate che tra chi ha guardato Mediaset e votato per i partiti populisti non ci sia alcun collegamento? La graduale diffusione geografica della ricezione delle emittenti private durante gli anni Ottanta ha dato vita a un “esperimento naturale” che esclude questa possibilità. I ragazzi delle zone in cui era più difficile ricevere il segnale di Mediaset, semplicemente a causa della conformazione geografica dell’Italia, sono stati meno influenzati. La conseguenza è stata che le persone che hanno passato più tempo a guardare i suoi programmi hanno finito per avere meno capacità cognitive e meno senso civico, oltre a riportare risultati peggiori nelle prove di matematica e di comprensione del testo.
Tuttavia, è importante capire che questo tipo di “intorpidimento” non si verifica perché la cattiva televisione instupidisce le persone. È una questione di opportunità: ogni ora passata a guardare un cartone spazzatura è un’ora rubata alla lettura, all’esplorazione del mondo fisico o a vedere un programma educativo. Lo stesso discorso vale per i videogame, i social network e così via. Non devono necessariamente essere spazzatura per essere dannosi, basta che ci impediscano di fare qualcosa di meglio.
Questo mi fa tornare in mente il teorico dei media Neil Postman, il quale sosteneva che a prevedere correttamente il nostro futuro fosse stato Il mondo nuovo di Aldous Huxley piuttosto che 1984 di George Orwell: a rovinarci sarebbe stata la nostra dipendenza da piaceri futili piuttosto che la coercizione dello Stato. Ma quest’ultimo studio dimostra che avevano ragione entrambi, dato che i piaceri apparentemente futili contribuiscono a fare di noi il tipo di persone che preferiscono i leader autoritari. Ci ricorda anche che non dovremmo escludere certe spiegazioni dei fenomeni politici e sociali solo perché ci sembrano snob. Il fatto che una teoria confermi quello che già pensiamo non la rende giusta, ma neanche necessariamente sbagliata.
Consigli di lettura
Il famoso libro di Neil Postman Divertirsi da morire anticipa in modo inquietante la moderna economia dell’attenzione che, lungi dal tenerci più informati, “ci allontana dalla conoscenza”.