“Top Gun: Maverick”, o il reclutamento militare travestito da film

di Eileen Jones (Jacobin Magazine / internazionale.it, 2 luglio 2022)

Vale davvero la pena recensire un fenomeno grottesco della cultura pop come Top Gun: Maverick? Sembra che tutti ne siano conquistati. La sua anteprima al Festival di Cannes si è conclusa con una standing ovation di cinque minuti. Sta battendo i record di incassi. È stato accolto con entusiasmo da quasi tutti i principali critici cinematografici. E senza dubbio è sulla buona strada per generare un “boom di reclutamento” militare ancora più di quanto fece il primo Top Gun del 1986. Il che non deve sorprendere: il Pentagono ha lavorato a stretto contatto con i produttori del film e ha investito molte risorse nei due Top Gun. E ora i giornalisti del mondo dello spettacolo stanno paventando la possibilità di assegnare un Oscar a Top Gun: Maverick.

Paramount Pictures

Non si parla semplicemente di candidature per il montaggio, il suono, gli effetti sonori e la canzone originale, tutte cose che il Top Gun dell’86 aveva ricevuto. Adesso si parla di miglior film e di miglior attore per la sempiterna stella Tom Cruise, o perlomeno di un Oscar onorario alla carriera, probabilmente per aver salvato Hollywood. Serve forse sottolineare che il primo Top Gun era una cacata ridicola? Che era parte integrante della folle architettura militare dell’amministrazione di Ronald Reagan e delle aggressive politiche bellicistiche degli anni Ottanta? O che in un’intervista del 1990, fingendo di non saper niente dell’uso che la Marina statunitense aveva ovviamente fatto del film, Tom Cruise rifiutò l’idea di poter mai fare un sequel? Cruise: «Ok, ad alcuni è sembrato che Top Gun fosse un film di destra che promuoveva la Marina degli Stati Uniti. E molti ragazzi lo hanno amato. Ma voglio che i ragazzi sappiano che la guerra non è così, che Top Gun era solo una cosa da luna-park, un film divertente, vietato ai minori di 13 anni, che non pretendeva di rappresentare la realtà. Per questo mi sono fermato e non ho fatto Top Gun 2, 3, 4 e 5. Sarebbe stato irresponsabile».

Ma quello era il passato, e questo è il presente: Cruise sta per compiere sessant’anni e vuole essere per sempre una stella. E così un sequel di Top Gun sembrava una buona idea, non solo per lui, ma anche per tutto il settore del cinema, disperatamente alla ricerca di un modo per riportare il pubblico in massa nelle sale. Il risultato è Top Gun: Maverick, infame e idiota come il primo film, ma più elegante, meglio montato, con scene d’azione più avvincenti e inondato di lacrime di nostalgia per gli anni Ottanta, quando Hollywood era in piena espansione e “It’s morning in America” (È mattina negli Stati Uniti) era uno slogan coniato da Reagan cui la gente credeva davvero. Naturalmente, non era mattina. Era un cupo crepuscolo con un’intensa pioggia acida che cadeva a dirotto. E oggi è mezzanotte, e ci risiamo con un altro Top Gun. Il nuovo film, peraltro, è per certi versi ancora più ridicolo del primo, una cosa che non pensavo fosse possibile.

Al centro della storia c’è il capitano Pete “Maverick” Mitchell, un pilota collaudatore della Marina degli Stati Uniti che non vuole rispettare le regole, e per questo non viene mai promosso, nonostante le sue molte decorazioni e qualità sovrumane. Lo vediamo per la prima volta in quello che sembra essere il suo hangar personale, mentre accarezza il suo aereo. Poi raggiunge il salotto installato proprio accanto all’aereo – sedie, tavolo, tappeto turco e tutto l’arredamento della vita domestica – tanto da far credere che abbia sposato il suo aereo, o almeno che vivano insieme in una relazione amorevole e impegnata. Poi ci sono i soliti problemi con i vertici della Marina che non riescono a sopportare il fatto che Maverick non segua le regole. Prima il contrammiraglio Ed Harris – ehi Ed, non eri un militante di sinistra o qualcosa del genere? –, e poi il viceammiraglio Jon Hamm che cerca di punire Maverick e impedirgli di volare. Ma non possono mettere Maverick in disparte per sempre, fintanto che il suo amico, l’ammiraglio Val Kilmer alias Iceman, lo protegge.

Sembra che Tom Cruise abbia insistito affinché a Val Kilmer fosse data la possibilità di tornare nel sequel, rendendo così possibile una grande scena di ricongiungimento strappalacrime a metà del film con il personaggio di Iceman, che, in uno dei momenti culminanti del Top Gun originale, diceva adorante a Maverick: “Puoi essere la mia spalla in qualsiasi momento”. Se avete visto il documentario autobiografico Val, sapete che Kilmer è in pessime condizioni a causa di un cancro alla gola, e che ha continuato a guadagnare soldi per molti anni dopo l’apice della sua carriera partecipando a conferenze ed eventi di cinefili nostalgici, firmando all’infinito vecchi poster di Top Gun con la frase sopracitata che ogni ammiratore maschio gli chiede di scrivere: “Puoi essere la mia spalla in qualsiasi momento”. Il che è commovente, ma in un modo del tutto diverso, perché Kilmer era un attore di talento, ed è un peccato che anche lui sia finito nella trappola della nostalgia degli anni Ottanta per essere ricordato principalmente nel suo piccolo ruolo di pilota vanesio. Be’, perlomeno riceverà un grosso compenso da Top Gun: Maverick.

Mentre la visione di Top Gun: Maverick mi faceva tornare un vecchio tic agli occhi, mi sono chiesta se sono l’unica, in quest’epoca di remake, a temere l’interesse sempre maggiore per i film degli anni Ottanta, al di là dei sequel di Fenomeni paranormali incontrollabili, Dune, Blade Runner, Ghostbusters e Mad Max, o della marcia funebre di Batman e Star Wars. Mi sono chiesta se dev’esserci per forza un’ondata di nostalgia per gli anni Ottanta, dopo quella per gli anni Cinquanta, due dei decenni più vomitevoli degli Stati Uniti, nei quali è stata decretata gran parte della nostra rovina. Ma, come ho scritto, l’entusiasmo e gli applausi rivolti a Top Gun: Maverick vanificano qualsiasi dubbio o obiezione.

Intanto, qualche altro elemento di trama: Maverick si mette nei guai quanto basta per essere mandato alla scuola di addestramento per “top gun” come insegnante, un incarico che non vuole e per il quale non è qualificato, ma che riesce a svolgere brillantemente. Deve addestrare una squadra di migliori tra i migliori tra i migliori a volare in una missione così impossibile da risultare incredibilmente comica. La missione consiste nell’attaccare un Paese senza nome, facendo esplodere le sue scorte di uranio prima che possano diventare armi, e volare via prima che i nemici possano contrattaccare. Ogni aspetto della missione richiede quel tipo di eroismo assurdo e sovrannaturale che è alla base dell’immagine di Tom Cruise. Solo che in questo film Tom ha una squadra di mini-Cruise che devono tutti seguire il suo esempio per poter compiere a loro volta dei miracoli. Va da sé che nessuno si preoccupa in alcun modo degli aspetti geopolitici della vicenda, della validità o meno delle informazioni dell’intelligence, del rischio di scatenare una guerra e così via.

La preoccupazione più grande è quella di sapere chi tra i giovani assi del volo impettiti come “Hangman”, “Warlock” o “Payback” sarà tra i pochi scelti per partecipare alla missione, e soprattutto se tra loro ci sarà “Rooster” (Miles Teller), figlio di “Goose” (Anthony Edwards) che morì salvando Maverick nel primo Top Gun. Come ci si poteva aspettare, Top Gun: Maverick vuole soddisfare gli ammiratori più accaniti, ricreando molte delle scene e dei momenti, assolutamente terribili, del primo film. C’è la scena d’apertura degli aerei illuminati dal Sole e curati con riverenza da alcuni robusti soldati sulle note di Danger Zone. Invece di un legame omoerotico durante una partita di beach volley, nel sequel c’è un legame omoerotico durante una partita di calcio da spiaggia, con due donne inserite nel film, ma senza alcun legame con la storia. Trentasei anni dopo Maverick indossa ancora i suoi occhiali da aviatore e la sua giacca di pelle, e guida la sua moto Kawasaki Ninja GPZ900R fino alla casa della sua futura ragazza, solo che non è più Kelly McGillis a interpretarla. Come ha osservato la stessa McGillis, «sono vecchia, grassa e ho un aspetto adatto alla mia età», e non c’era quindi alcuna possibilità che la invitassero a partecipare.

Disponibile a fornire il corrispettivo sentimentale c’è, invece, una magra e glamour Jennifer Connelly. L’attrice si abbina bene a Cruise. Entrambi hanno un look attillato, palestrato, liofilizzato e ricoperto da masse di capelli scompigliati artificialmente. Entrambi sono credibili come quarantenni sexy, con un trucco ad arte e una buona luce, ovvero le condizioni in cui si svolge gran parte del film. Nella scena finale lui esce per abbracciarla, mentre lei è sdraiata accanto a una Porsche d’epoca argentata, pretestuosamente lussuosa e mai apparsa prima nel film, ma che dev’essere lì per ricordare ai fan la Porsche nera d’epoca guidata dalla fidanzata di Maverick nel primo film. Connelly e Cruise sembrano fatti apposta per recitare insieme nella pubblicità di un’automobile. Lasciamo però stare le pubblicità di automobili, per le quali il regista Joseph Kosinski è altamente qualificato dopo quelle dei videogiochi Halo 3 e Gears of War. Kosinski si è dimostrato all’altezza del compito, girando un lunghissimo e movimentato spot di reclutamento militare. Resta da vedere se riuscirà a battere l’aumento del 500 per cento nel reclutamento degli aviatori della Marina generato dal primo Top Gun: «Il film è uscito venerdì e non abbiamo ancora visto un aumento enorme solo perché è il fine settimana» ha osservato una reclutatrice della Marina, la tenente Caitlin Bryant. «Ma non vediamo l’ora di scoprirlo». Bryant dice che c’è stato un notevole incremento anche dopo l’uscita del trailer.

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