di Davide Sarsini (agi.it, 5 marzo 2023)
Domenica 26 febbraio, Vodafone Arena di Istanbul: il Besiktas ospita l’Antalyaspor, la squadra della provincia turca devastata dal sisma del 6 febbraio, e i tifosi riversano sul campo una pioggia di peluche e sciarpe in solidarietà con le popolazioni terremotate. Poi scandiscono cori contro il presidente turco, Recep Erdogan, chiedendo le dimissioni del governo. È solo l’ultimo esempio di come gli stadi turchi si siano trasformati in una delle poche arene di dissenso contro il “Sultano”, che a metà maggio è atteso da elezioni politiche e presidenziali in cui rischia la prima vera sconfitta in un ventennio di potere.
Il crescente dissenso interno, amplificato dalle contestazioni per la pessima gestione dei soccorsi e dell’assistenza ai terremotati, ha trovato voce soprattutto negli stadi di calcio e tra gli ultras delle curve. Ad agitare le acque della politica turca è come sempre il Bosforo; a Istanbul gran parte degli abitanti si definisce per la fedeltà a una delle tre grandi squadre: il proletario Besiktas della sponda europea, il borghese Fenerbahce su quella asiatica, e l’elitario e più internazionale Galatasaray, anche se queste distinzioni nel tempo si sono molto annacquate, fino a svanire. Le tre tifoserie sono acerrime rivali, ma nell’ultimo decennio hanno messo da parte i rancori per fare fronte comune contro la svolta autoritaria di Erdogan e il giro di vite che ha imposto negli stadi.
L’ultima contestazione dei tifosi del Besiktas ha messo nel mirino l’inadeguata risposta del governo al terremoto e la mancata vigilanza sugli immobili che erano a rischio sismico. Al termine della gara Devlet Bahceli, leader del partito nazionalista turco Mhp e alleato di Erdogan, ha stracciato il suo abbonamento alle Aquile Nere e ha minacciato di far disputare le prossime gare a porte chiuse. Solo una settimana prima la parte più calda del tifo del Fenerbahce aveva scandito lo slogan “Venti anni di bugie e imbrogli, dimettiti” per contestare Erdogan nella partita con il Konyaspor, vinta per 4-0.
Calcio e politica in Turchia hanno spesso camminato sullo stesso binario, e lo stesso Erdogan è conosciuto per un passato da calciatore semiprofessionista e per l’utilizzo di metafore calcistiche nei suoi discorsi. Da più di un decennio, però, le tifoserie turche, soprattutto a Istanbul, lo hanno messo nel mirino. La prima avvisaglia era arrivata nel 2011, durante l’inaugurazione del nuovo stadio del Galatasaray, la Türk Telekom Arena. Erdogan si aspettava riconoscenza per i 250 milioni di dollari di spesa pubblica e il suo ruolo centrale nella creazione del nuovo impianto, e invece fu accolto dai fischi dei tifosi giallorossi. Da quel giorno non ha più presenziato a partite delle tre big di Turchia.
Lo scontro si aggrava nell’estate dello stesso anno, questa volta a Kadikoy, quartiere nella parte asiatica della città e tana dei gialloblu del Fenerbache, la squadra che lo stesso Erdogan tifa fin da bambino. Scoppia lo scandalo di match truccati e a farne le spese è il presidente dei Canarini Gialli, Aziz Yildirim, arrestato con l’accusa di associazione a delinquere. I tifosi non hanno avuto dubbi a schierarsi al fianco del criticato Yildirim, ritenendo l’indagine mirata, più che ai fatti illeciti, a colpire l’identità stessa del club, che rappresenta un ceto medio “occidentale”, e contraria alla svolta conservatrice e islamica voluta dal governo.
Ancora più forte fu la stretta di Erdogan sui tifosi in occasione della rivolta del 2013 del parco di Gezi, situato in piazza Taksim a Istanbul. Nata per contestare la chiusura del parco su cui si doveva ricostruire una vecchia caserma ottomana, la protesta si trasformò rapidamente in una guerriglia urbana in cui la ribellione degli ecologisti scatenò una risposta violenta da parte delle forze dell’ordine. Proprio gli eccessi della polizia spinsero la gente a scendere per le vie della città. Le tifoserie dei tre club della metropoli crearono un fronte comune denominato Istanbul United.
I Carsi, gli ultras del Besiktas (la squadra proletaria) orientati a sinistra e all’area anarchica, furono tra i più attivi nelle proteste. “I lacrimogeni sono il mio profumo”, osservò uno di loro. Ben 35 tifosi delle Aquile Nere finirono a processo con l’accusa di aver tentato di rovesciare il governo. La risposta di Ankara al dissenso dei tifosi è stata la Legge 6222 del 2011, che ha introdotto l’uso di telecamere a circuito chiuso e poliziotti in borghese negli stadi. Nel 2014 è stato introdotto un nuovo sistema di biglietti elettronici chiamato Passolig, che permette di raccogliere i dati sensibili degli spettatori negli stadi e obbliga ad acquistare i biglietti tramite una speciale carta di credito emessa dall’uomo d’affari Ahmet Calik, vicino a Erdogan.
Il governo Erdogan, da parte sua, ha sostenuto anche la crescita di diversi club di calcio, in particolare con l’Istanbul Basaksehir: una vecchia squadra che, nel 2014, si è trasferita nella zona conservatrice di Basaksehir di cui ha preso il nome dopo essere stata rilevata da Goksel Gumusdag, sposato con la nipote della first lady turca Emine Erdogan. Dopo i dissapori con i grandi club di Bisanzio, l’obiettivo era chiaro: costruire una squadra con tifosi fedeli sia alla squadra, sia al partito di ispirazione islamica Akp. Grandi acquisti come l’ex giocatore del Barcellona Arda Turan, fervente sostenitore di Erdogan, ha permesso al Basaksehir di laurearsi campione di Turchia nel 2019-2020. Il successo sul campo è sotto gli occhi di tutti; tuttavia, la media degli spettatori allo stadio rimane molto bassa e la squadra non riesce a raggiungere la popolarità sperata.
Dopo la contestazione nello stadio del Besiktas, la Union of Clubs, organismo che rappresenta tutte le squadre del campionato turco, ha invitato a tenere la politica al di fuori del rettangolo di gioco. Una piccola vittoria per Erdogan, ma il dissenso cova ancora sugli spalti dei “Big Three”, sempre meno impaurite dal pugno di ferro del Sultano.