Non è un caso che la Jannik Sinner Foundation, lanciata ufficialmente alla vigilia del ritorno alle competizioni dopo lo stop imposto dal caso doping, fosse stata annunciata dal numero uno del mondo nell’ottobre scorso. Quando, vincendo la superlussuosa e anche stracafona esibizione 6 Kings Slam, a Riad, e intascando la bellezza di sei milioni di dollari, Sinner chiarì che li avrebbe destinati alla fondazione che stava per varare.
La sconfitta agli US Open contro Ajla Tomljanovic segna la fine della carriera di Serena Williams da giocatrice di tennis, lo sport in cui è stata molto probabilmente la più forte di tutti i tempi. A quasi 41 anni, Williams è stata complessivamente numero 1 al mondo per 319 settimane — più o meno 6 anni — e ha vinto 73 titoli nel circuito maggiore, di cui 23 nei tornei del Grande Slam, i più importanti e prestigiosi: più di chiunque altro nel tennis moderno, sia maschile sia femminile. Nella lettera a Vogue con cui aveva annunciato il suo ritiro, qualche settimana fa, Williams ha detto di sperare che con il passare degli anni le persone arrivino a pensare a lei come «un simbolo di qualcosa di più grande del tennis». In realtà ci sono molte ragioni per dire che è già successo, e i suoi record non bastano a spiegare perché sia quasi unanimemente considerata la più grande di sempre.