di Andrea Silenzi (repubblica.it, 4 novembre 2024)
Era l’epoca della coscienza: i musicisti avevano deciso di prendersi cura del mondo, anzi dei disperati del mondo. Sulla scia di Band Aid – Do they know it’s Christmas, l’invenzione di Bob Geldof con le grandi star inglesi, Lionel Richie e Michael Jackson avevano scritto una canzone con la stessa finalità: raccogliere fondi per combattere la crisi alimentare in Africa.
«Kamala Harris, si. Se puede». A tradurre in spagnolo lo slogan lanciato da Barack Obama, «Yes she can», è stata Eva Longoria, che ieri è salita sul palco della convention di Chicago per dare la sua benedizione alla candidata dem. «Somos familia, in America siamo tutti la stessa famiglia e dobbiamo guardarci le spalle». L’attrice e modella texana di origini messicane era lì per legittimare la candidatura della Harris all’elettorato ispanoamericano.
«Lasciate l’ego fuori dalla porta». È stato il motto del produttore Quincy Jones, anche scritto fuori dallo studio di registrazione, che ha permesso il 25 gennaio 1985 al dream team Usa for Africa, composto da 46 star della musica d’Oltreoceano (e non solo), di riunirsi e incidere in una notte, negli studi A&M di Los Angeles, We are the World, il brano nato a scopo benefico che ha fatto raccogliere oltre 80 milioni di dollari per combattere la fame in Africa – e in particolare in Etiopia, allora nel pieno di una grave carestia.
di Daniele Cassandro (internazionale.it, 22 marzo 2022)
Tra il 1989 e il 1990, Whitney Houston (1963-2012) è una delle più famose pop star del mondo. È nata per quello: sua madre Cissy non è solo un’apprezzata interprete gospel ma ha lavorato come corista e arrangiatrice con chiunque, da Otis Redding ad Aretha Franklin, passando per Dusty Springfield e Jimi Hendrix, e ha anche avuto un certo successo come artista disco. Dionne Warwick, forse la più grande cantante afroamericana ad aver capito come funzionasse il pop bianco, era sua cugina, e Aretha Franklin per lei era una specie di zia acquisita, “auntie Ree”. Ha cominciato giovanissima, sapientemente guidata dalla madre che l’ha non solo istruita a cantare come una consumata interprete gospel (“con il cuore, con la testa e con la pancia”, le diceva), ma l’ha educata a essere impeccabile: i capelli stirati o accuratamente raccolti, il trucco leggero che sottolinea la sua pelle naturalmente chiara e abiti eleganti, un po’ démodé, da reginetta del ballo. E poi c’è ovviamente la religione: la chiesa è il perno intorno a cui ruota la sua vita sociale e artistica.
Non si può separare «l’anima dall’arte e la musica di Dionne spinge le persone a guardarsi dentro e cercare la parte migliore di sé stessi». Parola di Stevie Wonder, che, insieme fra gli altri a Bill Clinton, Quincy Jones, Elton John, Gladys Knight, Snoop Dogg, Carlos Santana, Alicia Keys, Smokey Robinson, prende parte a Dionne Warwick: Don’t make me over (2021), il documentario di Dave Wooley e David Heilbroner dedicato alla grande cantante che ha debuttato in prima mondiale al Toronto International Film Festival. L’icona della musica pop-soul vincitrice di 6 Grammy, capace di vendere in 60 anni oltre 100 milioni di dischi, ha anche ricevuto, nella giornata di chiusura, uno dei Tribute Award 2021 attribuiti dal Festival, tra i premiati, a Jessica Chastain, Benedict Cumberbatch e Denis Villeneuve.
Lo aveva promesso e lo ha fatto, continuando così la sua battaglia contro la Casa Bianca di Donald Trump. Megan Rapinoe, la capitana degli Stati Uniti ai Mondiali di calcio femminili, boicotta l’inno nazionale attirandosi l’ira del Presidente americano, “sfidato” davanti agli occhi del mondo.
di Giusi Fasano («Sette», suppl. al «Corriere della Sera», 24 maggio 2018)
Lui li chiama «pensieri indipendenti», ne va fiero e li difende. Anche se i suoi profili social sono stati praticamente sommersi da una valanga di commenti negativi. Stavolta (e non è la prima) il pensiero indipendente di Kanye West ha fatto infuriare più del suo endorsement per Trump.Continua la lettura di «La schiavitù fu una scelta dei neri»: Kanye West contro tutti→