Claudio Pica, in arte Claudio Villa, nacque a Trastevere nel 1926, figlio di un vetturino e di una casalinga di nome Ulpia. Era basso di statura, di carattere molto polemico, fisicamente tosto. Amava le motociclette e si dice che l’infarto che lo portò a morire piuttosto precocemente (aveva 61 anni) sia stato causato dallo sforzo insistito per calcare una pedivella d’avviamento. Era comunista e ateo.
Ma quindi cos’è l’italianità? Include quelli coi genitori tunisini? Quelli con gli ascoltatori napoletani? Quelli che per una settimana non parlano d’altro che di Sanremo? Quelli che si vantano di non guardarlo? È più italiano chi parla dialetto o chi usa parole inglesi a casaccio? Chi si perde l’inizio del Festival perché a tavola non si guarda la tele o chi ordina sushi perché c’è Sanremo e figurati se cucino? Chi ha la residenza fiscale a Montecarlo o chi ce l’ha in Italia tanto incassa tutto in nero?
Molti anni fa, quando tutto era diverso da ora nello spettacolo e nel giornalismo e ovunque, diverso in modi che rendono complicato farlo capire a chi conosce solo il mondo di ora, molti anni fa a una rivista di moda italiana venne offerta, da chi la vestiva in quel momento, la possibilità d’intervistare Madonna. Tutto era diverso tranne Madonna, che era già quel che è stata sempre negli ultimi quarant’anni: la massima diva mondiale, e una che qualunque giornale vorrebbe poter mettere in copertina, e anche una che non ha remore nel dire cose stronze quando ne ha voglia.
di Alice Valeria Oliveri (esquire.com, 12 giugno 2023)
«Un palazzinaro che non conosce niente di televisione», diceva Mike Bongiorno a proposito delle sue prime impressioni su Silvio Berlusconi, prima di accettare il ruolo di presentatore di punta delle reti Fininvest. Il presentatore dell’allegria era tutto ciò che serviva all’imprenditore milanese per dare vita al suo sogno, una televisione privata che facesse per la prima volta da concorrente all’istituzionalità pedagogica e democristiana della Rai.
Al video ci ho pensato dopo, quando ieri è arrivata nelle redazioni una letterina con cui l’avvocato di Giorgia Meloni intimava di non braccarne la figlia per fotografarla o riprenderla. Al video in quel momento presente sulla home page d’un grande quotidiano, in cui un giornalista filmava una seienne che entrava a scuola, perché quella seienne è la figlia della prossima presidente del Consiglio, e in un Paese senza star system ci si arrangia come si può.
Quando mi capitò davanti per la prima volta il video in cui Kim Tae-hyung dei Bts si accascia sul red carpet era l’aprile del 2021 e stavo subendo l’attacco mediatico più violento della mia vita. A scatenarlo era stato il fatto che in una trasmissione televisiva avevo criticato l’uso del registro lessicale militare e dei simboli bellici – medaglie, armi e divise – nella comunicazione della gestione dell’emergenza Covid. Ne era seguita una lunga bagarre del tutto trasversale agli schieramenti, a cui ebbi la percezione che partecipasse chiunque avesse un account social o uno spazio mediatico di altra natura. Per giorni mi attaccarono in forma personale cittadinə comuni e figure istituzionali, capə di partito, personaggi dello spettacolo e giornali di destra e di sinistra.
Colpirne tanti, per educarne ancora di più. La Cina non sta stringendo solo sulla libertà d’azione dei grandi colossi digitali, ma anche su quella delle sue celebrità. L’elenco di star del mondo di musica, cinema e televisione cadute in disgrazia è in continuo aumento. Le ragioni? Si va dalle accuse di evasione fiscale a quelle di abusi sessuali, dalla vicinanza con Alibaba, il colosso dell’e-commerce nel mirino del governo, a contenuti postati sui social media e considerati “antipatriottici”. In realtà, però, si tratta di bersagli “collaterali” di una campagna di rettificazione ben più ampia, che non solo si propone di “aggiornare” la basi dello star system cinese, adeguandole ai tempi della “prosperità comune” del presidente Xi Jinping, ma anche e soprattutto di disarticolare la costellazione dei gruppi organizzati di fan.
A fine anni Ottanta Keith Barish, un produttore statunitense noto per La scelta di Sophie e L’implacabile, decise che voleva darsi alla ristorazione e creare una catena a tema cinematografico. A quanto pare, l’idea venne a un suo assistente, che nella sceneggiatura di un possibile film sui Flintstones aveva letto il nome “Hollyrock”, il corrispettivo preistorico e flinstoniano di Hollywood. Un nome che gli aveva fatto pensare che il concetto alla base della catena Hard Rock Cafe, fondata negli anni Settanta, poteva essere traslato dal mondo della musica a quello del cinema. Con scarsa fantasia, Barish voleva chiamare la catena Cafe Hollywood, e dopo qualche mese alla ricerca di possibili soci esperti di ristorazione finì per mettersi in società con il britannico Robert Earl.
di Federico Pedroni (linkiesta.it, 28 aprile 2021)
Il destino ha voluto che la cerimonia di premiazione degli Oscar – rinviata causa pandemia alla fine di aprile dall’abituale posizione a cavallo tra febbraio e marzo – sia coincisa quest’anno con la tanto agognata riapertura delle sale cinematografiche italiane, almeno nelle Regioni gialle. Solitamente la consegna delle statuette rappresenta un momento di festa per gli esercenti di mezzo mondo, pronti a sfruttare il battage pubblicitario fatto di glamour e lustrini per riempire le sale con film più o meno grandi, capaci di attirare spettatori più o meno abituali. Quest’anno, però, come per tutto il resto anche per il cinema la situazione è radicalmente cambiata.
C’è un interrogativo che accompagna i dibattiti in epoca di social, adattandosi al tema del dibattito, ma sempre con la stessa risposta: chi è più scemo? Sono peggio quelli che abbattono le statue, o quelli che ci spiegano l’importanza delle statue? Quelli che dicono che va tutto bene e non c’è alcun allarme sociale, o quelli che dicono che donne e neri e giovani stanno peggio oggi che cent’anni fa? La risposta è sempre che sono sceme entrambe le categorie, indi per cui la gente ragionevole si guarda bene dal dibattere sull’Internet, schierandosi con una delle due scemitudini.Continua la lettura di Le signore Trump non se la prendono, si prendono tutto→