di Pierluigi Battista (huffingtonpost.it, 21 febbraio 2025)
Siamo così schiacciati sul presente da pensare che nella politica tutto sia stato inventato adesso. Che siamo all’Anno Zero, che Silvio Berlusconi ha introdotto lo spettacolo nella politica, che con il trumpismo siamo al culmine del trionfo della personalizzazione della politica, che la politica è diventata irrimediabilmente schiava di codici estetici.
Babbo Natale fu impiccato alle inferriate del Duomo di Digione e arso vivo sulla pubblica piazza il 23 dicembre 1951 alle tre del pomeriggio. Il giorno successivo la notizia era su tutti i giornali di Francia. Il quotidiano più venduto di allora, France Soir, titolò: «Davanti ai bambini delle parrocchie Babbo Natale è stato giustiziato sul sagrato della cattedrale».
All’inizio del Novecento l’avanguardia futurista italiana esaltava il varietà perché meraviglioso ed eccentrico, antintellettuale e popolare, capace di stupire, divertire, emozionare, abbindolare gli spettatori con la rapidità e il sensazionalismo del suo messaggio. Il teatro della sorpresa, come titolava il manifesto firmato da Filippo Tommaso Marinetti e Francesco Cangiullo nel 1921, doveva perciò gettare alle ortiche ogni scoria élitaria e diventare alogico, irreale. Artificio, comicità, imprevedibilità, testi scarni e insignificanti personaggi erano i canoni e i valori della drammaturgia futurista. Nel 1961 Martin Esslin pubblica The Theatre of the Absurd, dove campeggiano i nomi di Samuel Beckett, Eugène Ionesco, Jean Genet, capostipiti di un genere letterario celebre per il suo humour grottesco, le sue atmosfere surreali, il suo linguaggio ripetitivo, frammentato, privo di senso.