di Monica Coviello (vanityfair.it, 31 dicembre 2024)
La politica americana ha preso una piega inaspettata: non si occupa più solo di leggi e dibattiti, ma anche di prodotti da vendere. Donald Trump, insieme ai suoi alleati, ha trasformato la sua immagine in un marchio globale vendendo tutto, dalle scarpe dorate alle candele, passando per il caffè e la nicotina. E non è il solo.
«When I was just a baby my mama told me: son / Always be a good boy, don’t ever play with guns». A differenza del galeotto della ballata di Johnny Cash, Folsom prison blues, il protagonista di questa storia non ha giocato con le pistole e grazie al cielo non ha accoppato nessun poveraccio a Reno. Ma anche a Fulton il tempo può scorrere lento e la tristezza farsi sentire. Il “blues”, o almeno una certa tensione, è immortalato in una fotografia che rimbalza tra etere e fibra. Lo si vede da piccoli segni: si aggrappa alle rughe della fronte e fa sparire la bocca in una linea contratta.
Un libro scritto da due apprezzate giornaliste del New York Times, Sheera Frenkel e Cecilia Kang, uscito negli Stati Uniti il 13 luglio, è da alcuni giorni oggetto di estese attenzioni tra analisti e commentatori interessati all’ampio dibattito sui sociali network. Intitolato An Ugly Truth: Inside Facebook’s Battle For Domination, tratta delle responsabilità di Facebook nella diffusione di comportamenti legati alla disinformazione, all’incitamento all’odio, alle teorie del complotto e alla violenza. Le responsabilità sono principalmente definite in termini di interessi economici nella monetizzazione di contenuti divisivi e infondati, e in termini di mancata attivazione di tempestivi e appropriati protocolli di protezione, nonostante la consapevolezza delle infiltrazioni russe e di altri fenomeni relativi alla sicurezza nazionale all’interno dell’azienda.
di Maria Laura Rodotà (linkiesta.it, 20 novembre 2020)
Se il Russiagate era stato soprannominato “Stupid Watergate” (da John Oliver di Last Week Tonight, sempre sia lodato), il tentativo di colpo di mano di Donald Trump ieri pare configurabile come un golpe covidiota. Per via del Covid e non solo. O come un clown coup, sono molti a chiamarlo così. Di certo, servirebbero i fratelli Coen a raccontarlo. Meglio, i fratelli Marx. Magari dal punto di vista dei funzionari repubblicani dell’ufficio elettorale del Michigan, che prima si sono rifiutati di certificare i risultati della Wayne County, quella di Detroit, afroamericana e democratica. Poi li hanno certificati. Ora vorrebbero cancellare la certificazione ma è complicato. Intanto Trump li ha invitati oggi alla Casa Bianca.
La cantante vestita da pantera nera ha voluto appoggiare il movimento che denuncia la violenza della polizia nei confronti degli afroamericani. L’ira di Rudy Giuliani
di Monica Ricci Sargentini (corriere.it, 9 febbraio 2016)
Un gesto politico durante il tradizionale spettacolo di metà partita del Super Bowl, la finale del campionato di calcio americano. La cantante Beyoncé ha veramente sorpreso tutti ballando vestita da pantera nera insieme alle sue ballerine. E, come fecero nel 1968 due atleti olimpici neri dopo aver vinto le loro medaglie, l’artista ha sollevato il pugno chiuso in aria.Continua la lettura di Beyoncé, l’omaggio al black power scatena le polemiche: «Vergognoso»→