Archivi tag: protest song

“Mermaid Avenue”, le canzoni di Woody Guthrie nel progetto di Billy Bragg e i Wilco

Ph. Daniel Kramer

di Riccardo Papacci (huffingtonpost.it, 16 marzo 2025)

Vedendo A Complete Unknown di James Mangold si ha l’impressione di ritrovarsi in un mondo alieno, diverso da quello in cui viviamo oggi. Un mondo in cui il ventenne Bob Dylan si trasferisce dal Minnesota a New York solo per incontrare il suo idolo, Woody Guthrie. Ma anche lo stesso mondo in cui Dylan viene insultato solo perché passa dalla chitarra acustica a quella elettrica al Newport Festival.

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L’elettronica di protesta degli Orbital

di Daniele Cassandro (internazionale.it, 10 gennaio 2023)

Uno dei tanti aspetti discutibili del cosiddetto “Decreto Rave” (entrato in vigore dopo diversi aggiustamenti il 31 dicembre 2022) è che, nella sua sostanza, è una storia che si ripete ogni volta che un Paese viene guidato da un governo di destra. Il Criminal Justice and Public Order Act, voluto nel 1994 nel Regno Unito dal governo conservatore di John Major, dava una stretta autoritaria e poliziesca contro una serie di comportamenti definiti “antisociali”.

Ph. Martyn Goodacre / Getty Images

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Regimi che odiano la musica

di Siegmund Ginzberg (ilfoglio.it, 12 novembre 2022)

I casali di campagna dove si svolgevano i concerti clandestini venivano circondati dalla polizia. Gli edifici venivano sequestrati. Talvolta dati alle fiamme. I giovani venivano fermati e schedati. I musicisti arrestati. Ci furono processi e condanne. I rave, pardon, i concerti rock, vennero proibiti. Il governo cercò di cancellarne la memoria. Traviavano la gioventù, si disse. Avevano “un effetto sociale negativo”.

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“Another love”, l’inno delle donne ucraine e iraniane della generazione TikTok

di Stefano Pistolini (linkiesta.it, 3 ottobre 2022)

Dopo l’ennesimo revival di Bella ciao come inno di lotta ai quattro angoli del mondo, nemmeno fosse il passaparola della parte giusta, perché contiene la parola-chiave a cui gira attorno la canzone – “l’invasor” – che traccia il confine netto tra bene e male, da qualche mese succede un’altra cosa, più indefinibile, incastrata com’è tra i gangli della comunicazione contemporanea. C’è questo pezzo, Another love, vecchio di una decina d’anni, scritto dal cantautore inglese Tom Odell quando era un ragazzo.

Unsplash

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Woody Guthrie, il senzatetto leggendario del folk americano

di Susanna Schimperna (huffingtonpost.it, 4 ottobre 2022)

Il 3 ottobre 1967 muore, a poco più di cinquantacinque anni, Woodrow Wilson Guthrie, lasciando un patrimonio di oltre mille canzoni e poesie, di cui molte che non sono state registrate o pubblicate, e che nessuno ha mai visto. Al ragazzo che spesso l’andava a trovare quando era internato al Greystone Hospital di Morrison, nel New Jersey – in realtà una clinica psichiatrica – aveva detto un giorno di andarseli a prendere, tutti quegli scritti.

The Woody Guthrie Archive

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La musica e la sua Queen

di Stefano Pistolini (ilfoglio.it, 14 settembre 2022)

Il rapporto tra il britpop, per decenni una delle più floride industrie britanniche, e la monarchia è stato sempre questione di cromosomi o, se volete, di ereditarietà: la regina come presenza immanente ed eterna, istituzione stabile e perenne. Motivo per cui l’attenzione degli spiriti modernisti della musica di rado s’è occupata del soggetto, se non in casi di esasperazione, attribuibili più a una reazione psicologica che a un reale fronteggiamento politico, più alla percezione di una sottomissione a una madre repressiva che a un’effettiva concezione antimonarchica. Poi la cosa si è sempre sfumata, con la regina Elisabetta tornata al suo posto come presenza inevitabile e guardata perfino con affetto, confortante icona di quell’identità nazionale satiricamente battezzata “Little Britain”.

Ph. Dave Thompson / Wpa Pool – Gi

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La canzone pakistana ascoltatissima in India

(ilpost.it, 16 maggio 2022)

Da un po’ di tempo una canzone pakistana è ascoltatissima in India, un Paese storicamente nemico dove chi ascolta musica pakistana può arrivare anche a essere arrestato. Si chiama Pasoori ed è un duetto tra i cantanti pakistani Ali Sethi, che l’ha scritta ed è figlio di attivisti politici, e Shae Gill: ha una base particolarmente ballabile, che combina la musica indiana a quella mediorientale e al reggaeton, e un testo su due persone che si amano ma a cui è vietato incontrarsi. Nelle scorse settimane ha raggiunto una gran popolarità alla radio e in Internet, ed è stata interpretata come una metafora del difficile rapporto tra India e Pakistan. Pasoori è traducibile con qualcosa come “pasticcio difficile”, e s’ispira a un genere di canzone che ha origine nella poesia medievale del Sud dell’Asia, nato soprattutto in risposta all’usanza dei matrimoni combinati e solitamente ricco di giochi di parole, allusioni erotiche e critiche più o meno esplicite alle norme sociali.

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La reunion dei Pink Floyd per l’Ucraina

di Claudia Fascia (ansa.it, 7 aprile 2022)

I Pink Floyd tornano a suonare insieme per un nuovo brano dal titolo Hey Hey Rise Up, in uscita l’8 aprile, a supporto al popolo ucraino. Si tratta della prima musica originale registrata dai Pink Floyd riuniti dai tempi di The Division Bell, del 1994. La traccia vede la collaborazione di David Gilmour e Nick Mason con il bassista Guy Pratt, Nitin Sawhney alle tastiere, con una performance vocale straordinaria di Andriy Khlyvnyuk della band ucraina Boombox. Registrata mercoledì 30 marzo, utilizza la voce di Andriy estrapolata da un suo post Instagram che lo immortala mentre canta in Sofiyskaya Square a Kiev. Il brano Oh, The Red Viburnum In The Meadow è un brano ucraino folk di protesta scritto durante la prima guerra mondiale che si è diffuso in tutto il mondo durante lo scorso mese contro l’invasione dell’Ucraina.

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Elogio di Taylor Swift

di Benedetta Grasso (linkiesta.it, 17 novembre 2021)

Una delle cose che ho sempre invidiato ad alcune generazioni precedenti è l’idea di crescere in sintonia con un gruppo o un cantante, più o meno della stessa età. In apparenza l’abbiamo fatto tutti, in ogni decennio, ma crescere in un altro senso: segnare delle fasi formative, delle evoluzioni intellettuali, sperimentali, culturali, in parallelo con gli album in uscita. Prendendolo in mano, vedendo la storia e la politica e lo spirito di una generazione rivoluzionarsi nelle settimane successive, ascoltandolo mille volte. Oggi con Red ri-scritto, re-released anche con un corto al Lincoln Center, è scoppiata una festa in ogni città – come con la beatlemania – di nostalgia allegra: persone vestite di rosso per strada, che ballano su canzoni scritte a 21 anni e riprese a 31.

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Bob Dylan a ruota libera

di Carlo Massarini (linkiesta.it, 23 ottobre 2021)

The Freewheelin’ è il secondo album di Bob Dylan, ed è allo stesso tempo una perfetta fotografia dell’anno in cui è concepito e qualcosa che trascende il suo tempo, perché contiene temi – i maestri della guerra, il razzismo e le risposte che soffiano nel vento, lampi di apocalisse sotto una dura pioggia, le separazioni e l’andare avanti, il surrealismo metaforico dei sogni – che fanno parte della natura umana. Dylan qui è ancora un ragazzino, 22 anni, i capelli ispidi che diventeranno il suo trademark, la sua prima fidanzata Suze Rotolo abbracciata a lui mentre camminano nella neve di Jones Street nel Village a New York a due passi da dove abitano, appena un album di cover acerbe alle spalle ma in tasca una manciata di canzoni da grande, che cambieranno la storia della musica, della società, della sua vita e di quella di milioni di terrestri.

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