L’agenzia che gestisce i Bts, famosissima band di pop coreano (K-pop) con milioni di fan nel mondo, ha annunciato che tutti e sette i membri del gruppo faranno il servizio militare. In Corea del Sud è infatti obbligatorio per tutti gli uomini adulti, con qualche eccezione: e finora i Bts avevano potuto rimandarlo grazie a una decisione del governo, che aveva riconosciuto il ruolo dei più importanti artisti K-pop nella diffusione della cultura sud-coreana nel mondo.
di Riccardo Luna (repubblica.it, 27 settembre 2022)
Venerdì 23 settembre, ultimo giorno di campagna elettorale, mentre gli altri leader parlavano in qualche piazza fisica, Matteo Salvini ha creato una piazza virtuale unendo in un’unica diretta TikTok, Facebook, Instagram, YouTube e Twitter: Maratona Salvini il titolo dell’evento, scelto perché il comizio digitale è durato addirittura quattro ore. Alla fine gli organizzatori hanno diramato “numeri mai visti”: 3 milioni di interazioni, di cui oltre la metà solo su TikTok, con oltre 220mila spettatori unici. Un successo evidente, che però non si è tradotto in voti per la Lega, ennesima riprova del fatto che i tweet non finiscono nelle urne elettorali, che i follower non sono tutti elettori e che l’engagement non misura il consenso, ma è semmai una misura della capacità d’intrattenimento del pubblico dei social: quanto sei stato capace di farlo divertire, o interessare, o spesso anche arrabbiare.
All’inizio del Novecento l’avanguardia futurista italiana esaltava il varietà perché meraviglioso ed eccentrico, antintellettuale e popolare, capace di stupire, divertire, emozionare, abbindolare gli spettatori con la rapidità e il sensazionalismo del suo messaggio. Il teatro della sorpresa, come titolava il manifesto firmato da Filippo Tommaso Marinetti e Francesco Cangiullo nel 1921, doveva perciò gettare alle ortiche ogni scoria élitaria e diventare alogico, irreale. Artificio, comicità, imprevedibilità, testi scarni e insignificanti personaggi erano i canoni e i valori della drammaturgia futurista. Nel 1961 Martin Esslin pubblica The Theatre of the Absurd, dove campeggiano i nomi di Samuel Beckett, Eugène Ionesco, Jean Genet, capostipiti di un genere letterario celebre per il suo humour grottesco, le sue atmosfere surreali, il suo linguaggio ripetitivo, frammentato, privo di senso.
Nel 1977 l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano, il Fronte della Gioventù, organizzò un festival con musica dal vivo, radio libere e dibattiti su temi sociali e politici. In un campo della località Montesarchio, in provincia di Benevento, si radunarono centinaia di giovani di destra (tra cui il futuro sindaco di Roma Gianni Alemanno) dormendo in tenda, parlando di condizione femminile e teatro d’avanguardia e ascoltando band come gli Amici del Vento e la Compagnia dell’Anello. Tra le altre cose i militanti presenti tentarono di formare una grossa croce celtica umana, simbolo che era presente in molte bandiere e striscioni al campo. Questo festival era chiamato “Campo Hobbit”, dal nome delle creature fantastiche inventate dallo scrittore inglese J.R.R. Tolkien, capostipite della narrativa fantasy moderna e autore della conosciutissima saga del Signore degli Anelli, pubblicata tra il 1954 e il 1955.
Una volta Enrico Vanzina disse d’aver capito che c’era stato uno slittamento tra la destra e la sinistra com’eravamo abituate a pensarle quando aveva visto che, al cinema dei Parioli, la borghesia romana andava a vedere i Dardenne: annoiandosi moltissimo, ma non correndo il rischio d’apparire impresentabile. Io non ho capito dove saremmo andati a finire con Instagram prima che Instagram esistesse, nonostante la vita si fosse impegnata a spiegarmelo. Successe all’inizio di questo secolo, quando il consumo televisivo che piaceva ostentare a chi al cinema guardava i Dardenne era quello di Desperate Housewives. La Rai organizzò un giro promozionale romano delle attrici che interpretavano le massaie dei Parioli americani, e la giornata si concluse con una cena sulla terrazza del Campidoglio.
Tra i banchi del Parlamento Ue, dove oggi è stata ospite d’onore del discorso sullo Stato dell’Unione di Ursula von der Leyen, la first lady ucraina Olena Zelenska conferma il suo ruolo di “ambasciatrice” di Kiev sulla scena internazionale. Laddove il marito Volodymyr Zelensky – il comico diventato leader di guerra – rimane sul campo, intento a tenere alto il morale del popolo e delle truppe contro l’invasione russa, la moglie 44enne è uscita dall’ombra ed è diventata il volto delle sofferenze umane dell’Ucraina. Laureata in Architettura e sceneggiatrice di commedie, prima di diventare first lady Zelenska appariva raramente in pubblico: non dava interviste, aveva un profilo Instagram solo privato e lavorava dietro le quinte della società della casa di produzione Kvartal 95, co-fondata dallo stesso Zelensky e che sta dietro alla serie di successo che lo ha portato alla ribalta, Servo del popolo.
«È una canzone molto politica e io non voglio cantare canzoni politiche», così Laura Pausini ha risposto al conduttore di El Hormiguero, un programma d’intrattenimento musicale che la ospitava in qualità di giudice di La Voz, versione spagnola di The Voice. Una risposta che ha immediatamente fatto scattare una bufera sui social, una netta spaccatura alimentata forse dall’intervento di Matteo Salvini che si è congratulato con la cantante di Faenza per quella che ha ritenuto essere una presa di posizione. Una bufera che ha costretto la stessa Pausini a intervenire sulla vicenda con un tweet che avrebbe dovuto calmare le acque, ma non è servito a granché: «Non canto canzoni politiche né di destra né di sinistra. Quello che penso della vita lo canto da 30 anni. Che il fascismo sia una vergogna assoluta mi pare una cosa ovvia. Non voglio che qualcuno mi usi per fare propaganda politica. Non inventate ciò che sono».
Il social non è più solo intrattenimento: diventato agorà, è ormai un canale necessario per i partiti. Ma si ritrova a fare i conti con la disinformazione. E con una domanda: si può parlare di politica in un minuto? Dai balletti al voto. TikTok ha smesso di essere il social dei playback. Lo è ancora, ma non è solo quello. A differenza di altri grandi social network, TikTok è sempre stato votato all’intrattenimento puro e non si è mai proposto come agorà. Eppure lo è diventato. E qui, come sempre, la situazione si complica. Un social che diventa luogo pubblico di discussione attira idee, messaggi, ma anche bufale e disinformazione. Facebook se ne è accorto con Cambridge Analytica, TikTok quest’anno durante la guerra in Ucraina. Come la pubblicità, la comunicazione politica è – in un certo senso – laica: non bada al palcoscenico, ma va ovunque ci sia una platea da raggiungere.
Oltre un secolo fa, ben prima del turismo di massa e dello spopolamento di Venezia, le isole della Laguna erano frequentate da pochi e privilegiati viaggiatori stranieri, perlopiù russi, europei e nordamericani. A cavallo tra l’Otto e il Novecento, Venezia continuava a esercitare un grande fascino all’estero e su un certo turismo d’élite, ma era anche caduta in uno stato di decadimento che nel 1902 portò al crollo del campanile di San Marco, sbriciolatosi su sé stesso in un giorno di luglio dopo decenni d’incuria. L’evento fu significativo e risvegliò la città dal suo lungo torpore, almeno fino alla Seconda guerra mondiale. Già da fine Ottocento, l’aristocrazia locale rifletteva su come rinnovare la sua immagine e ridare slancio a una città che sembrava averne esauriti. Non a caso nel 1895 un gruppo di intellettuali sostenuto dai sindaci di quel decennio, Riccardo Selvatico e Filippo Grimani, aveva inaugurato ai Giardini di Castello «una serie biennale di esposizioni artistiche, in parte libere, in parte su inviti» che oggi conosciamo comunemente come la Biennale, una delle più importanti e longeve esposizioni d’arte contemporanea al mondo, la più grande in Italia.
A differenza degli Stati Uniti e di alcuni Paesi europei, dove sono piuttosto diffusi, in Italia è vietato trasmettere spot elettorali sulle tv nazionali. Per i partiti e i comunicatori politici è un limite molto sentito: ancora oggi la televisione è il medium più seguito dagli elettori più anziani, che fra le altre cose sono quelli che si presentano ai seggi con più assiduità rispetto ai giovani. Non è sempre stato così. La diffusione di spot elettorali sulle tv nazionali è stata fortemente limitata nel 1996 e poi vietata del tutto nel 2000 con la legge sulla cosiddetta par condicio. La legge, ancora in vigore, prevede solamente che in campagna elettorale la Rai metta a disposizione dei “contenitori” in cui i partiti possano trasmettere gratis dei “messaggi politici autogestiti”: ma sono spazi che per legge non possono essere trasmessi dalle 20 alle 22, quando davanti alla tv si concentra il maggior numero degli spettatori, e che vengono assegnati fra tutti i partiti con criteri molto rigidi, cosa che li rende di fatto inutili.