Archivi tag: populismo

Questo Grillo ricorda Berlusconi

di Ugo Magri (huffingtonpost.it, 28 giugno 2021)

Per quanto possa suonare provocatorio, sacrilego, addirittura osceno, c’è tanto in comune tra Berlusconi e Grillo. Il quale rispetto a Conte si sta comportando proprio come l’altro, otto anni fa, aveva trattato il povero Alfano: presi a pedate entrambi per lesa maestà. Variano i personaggi, cambiano le etichette, ma la storia inesorabile si ripete a conferma che la politica ha “corsi e ricorsi”, come direbbe Vico, ovvero il teatrino è sempre lo stesso. C’è un leader carismatico un po’ vecchio e spompato che finge di volersi ritirare, individua il presunto successore, lo incoraggia a farsi avanti, addirittura si incontrano per concordare il passaggio delle consegne e poi sul più bello, quando l’altro ormai si sente in tasca le chiavi di casa, bruscamente lo accompagna alla porta. Addio.

Ph. Simona Granati / Corbis via Getty Images

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Il teatro politico dell’indignazione

di Antonio Preiti (huffingtonpost.it, 5 maggio 2021)

Nell’era dell’indignazione e del risentimento la politica ha ancora un senso? O meglio, nell’era dell’indignazione e del risentimento, quale politica si può praticare? Siamo abituati a quella “razionale” (programmi, ideologie, verifica dell’azione di governo etc.), ma ci dice ancora qualcosa, interessa ancora qualcuno? Se non è questa, allora qual è? Guardiamo al potere degli influencer e da dove arriva: dal numero dei like? o da qualcosa di più radicale, di più profondo, anzi di più psicologico che politico? Vediamo. Immagino che nessuno abbia dubbi che proprio l’indignazione e il risentimento siano il segno dei tempi: se torniamo a qualche anno fa, l’indignazione e il risentimento erano la base emotiva (dunque quella più importante) del successo di tutti i movimenti populisti (termine qui denotativo e non connotativo).

Gremlin via Getty Images
Gremlin via Getty Images

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Il silenzio degli urlatori

di Francesco Cundari (ilfoglio.it, 1° maggio 2021)

Si sa che quel che conta più di tutto, nel teatro come nella vita, in politica come in letteratura (e secondo alcuni persino negli articoli di giornale), è il finale. Proprio per questo lascia stupefatti la conclusione cui sembra essere arrivato il MoVimento 5 Stelle, singolarissima creatura partitico-teatrale del comico Beppe Grillo, opera somma della politica spettacolo in Italia: un improvviso, interminabile, imbarazzato silenzio. La negazione di tutte le leggi dello spettacolo. La negazione di tutte le leggi della politica. Ma una conclusione che era fors’anche inevitabile per un movimento composto da persone, Grillo a parte, fondamentalmente negate per entrambe le cose.

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Fedez e il populismo inconsapevole della sinistra

di Pierfrancesco De Robertis (quotidiano.net, 4 maggio 2021)

Ciò che colpisce del “caso Fedez”, a distanza di due giorni dal divampare della crisi, non sono tanto le parole del rapper, il suo tentativo un po’ furbastro di mischiare le carte e censurare una telefonata di una dirigente Rai spacciandosi lui per censurato, quanto la reazione del mondo politico. “Fedez ha ragione”, “concordo con Fedez” e giù applausi. Il più duro di tutti ha provato a essere Salvini, direttamente chiamato in causa dal palco del concertone del primo maggio, con un proditorio “lo inviterò a prendere un caffè”. Sai che paura. Non c’è che dire, Fedez fa Fedez, cioè vende sé stesso nel confuso Ballarò dello spettacolo diventato politica e della politica diventata spettacolo.

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Casaleggio e dissociati

di Mario Lavia (linkiesta.it, 24 aprile 2021)

Il diluvio affoga i Cinquestelle sotto la congiunzione astrale della caduta di Beppe Grillo e dell’addio di Rousseau, cioè gli dei di un Movimento nato in sordina e in sordina entrato in crisi. Forse esiste un nesso fra i due accadimenti, forse no. Non è da escludere che Grillo sia andato fuori di testa certo per la vicenda giudiziaria del figlio ma chissà se anche perché da vecchio istrione ha sentito il fruscìo dell’ombra di Banquo recante il fallimento del più grande spettacolo della Seconda repubblica, a parte quello di Silvio Berlusconi; forse aveva previsto la fuga dell’impresario inopinatamente intitolato a Rousseau che sin qui garantiva la più colossale parodia della democrazia; e poi attori e comparse disertare le prove, e il pubblico rivolere indietro i soldi del biglietto.

Unsplash
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Una politica appesa a Fedez

di Mauro Suttora (huffingtonpost.it, 2 maggio 2021)

Ricordavo la deliziosa Ilaria Capitani portavoce di Walter Veltroni nel 2007, quando intervistai l’allora sindaco di Roma. Mai avrei immaginato si trasformasse in feroce belva della censura contro tal Federico Lucia da Buccinasco, tatuatissimo cantante con faccia e voce attraenti quanto quelle di Morgan. C’eravamo liberati da appena una settimana di Grillo, suicidatosi col video sugli stupri, mo’ ecco Fedez. L’ennesimo famoso solo per essere famoso (trovate qualcuno che sappia canticchiare qualche sua canzone) che pretende di comiziare di politica coi miei soldi (via Rai). Anche Celentano sproloquiava, ma almeno lui aveva all’attivo decenni di inni ecologisti.

Agf – Ansa
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Lezioni da Washington

di Ida Dominijanni (internazionale.it, 13 gennaio 2021)

Fra le immagini provenienti da Washington ne circola una perfino più sintomatica di quelle dei manifestanti che si arrampicano come formiche sui muri di Capitol Hill e devastano indisturbati il tempio della democrazia americana, o di quelle dello sciamano tatuato con le corna che si accomoda trionfante sullo scranno di Mike Pence, o di quelle dei legittimi rappresentanti del popolo evacuati sotto la minaccia dei Proud Boys armati. È un filmato fatto con il telefono e diffuso dal figlio dello stesso Trump, che ritrae il presidente tuttora in carica con la moglie a fianco davanti a uno schermo televisivo, mentre si gode la diretta della manifestazione che sta per aizzare contro il Parlamento, il tutto con Gloria – un nome un programma – a tutto volume per tenergli su il morale.

Ph. Erin Schaff / The New York Times – Contrasto
Ph. Erin Schaff / The New York Times – Contrasto

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Avevamo già conosciuto il trumpismo: al cinema, in tv o da qualche altra parte

di Guia Soncini (linkiesta.it, 20 novembre 2020)

È verità universalmente riconosciuta che l’unico modo per dire qualcosa di rilevante sul presente sia fare un film in costume. È anche per questo che da settimane tutti scrivono di Mank, il film di David Fincher che il pubblico non vedrà fino al 4 dicembre, allorché arriverà su Netflix. Certo, ci sono molte ragioni per parlarne. È Fincher, che quando fa un film è sempre un evento. È Fincher che ricostruisce la storia di Quarto potere, il film che quelli che ne capiscono ritengono il più bello della storia del cinema. È Fincher che lo fa non focalizzandosi su Orson Welles – il Wunderkind (è la parola che usa Mank) cui a ventiquattro anni quelli che ci mettevano i soldi diedero qualcosa che altri registi a volte non ottengono in una vita: l’autorità assoluta sul progetto, il potere decisionale, l’esenzione dalle discussioni coi finanziatori – ma su Herman Mankiewicz, lo sceneggiatore quarantatreenne che scrive il film del bambino prodigio.

Ph. Jose Luis Magana / Ap
Ph. Jose Luis Magana / Ap

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Non ridete: le buffonate di Trump potrebbero essere la farsa che precede la tragedia

di Francesco Cundari (linkiesta.it, 16 novembre 2020)

Joe Biden ha preso oltre cinque milioni e mezzo di voti in più e ha vinto in quasi tutti gli Stati in bilico, compresi quelli governati dai repubblicani, che hanno garantito la correttezza del voto. Ciò nonostante non solo Donald Trump, ma anche i vertici del suo partito, con pochissime eccezioni, continuano a parlare di brogli, lanciando accuse infondate, inventando e diffondendo bufale tanto incredibili quanto pericolose – tipo quella del software mangia-voti – e rifiutandosi di riconoscere la sconfitta. Il carattere assolutamente indubitabile dell’esito elettorale, assicurato dal distacco a prova di riconteggi accumulato in gran parte degli Stati chiave, ha alimentato un atteggiamento di superiore condiscendenza nei confronti delle affermazioni e dei gesti sempre più gravi provenienti dalla Casa Bianca.

Ph. Jacquelyn Martin / Ap
Ph. Jacquelyn Martin / Ap

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“La seconda guerra civile americana”, il film di Joe Dante che ha anticipato tutto

di Giulio Zoppello (wired.it, 6 novembre 2020)

Un Paese diviso, un politico populista che vuole tenere fuori i migranti e i rifugiati amato dalla Destra militarizzata, suprematista e intollerante, mentre i mezzi d’informazione invece d’informare inseguono lo share e propagano false notizie, con il fronte liberal confuso e indeciso. In mezzo, una conflittualità sociale immensa, minoranze infuriate ed emarginate, politici inetti, cittadini armati, rivolte e la vecchia contrapposizione dei tempi della Guerra Civile che torna a palesarsi. Vi suona familiare? Ebbene, non stiamo parlando di questi quattro anni di presidenza Trump, né di quel clima infuocato che ha scosso (e continua a scuotere) gli Stati Uniti quest’anno, nei giorni delle elezioni più dibattute della storia.

Hbo
Hbo

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