Dentro ognuno di noi c’è una minuscola speranza: che la guerra dei dazi scatenata da Donald Trump contro il resto del mondo non sia frutto del caso, ma di un piano preciso, elaborato, con fondamenti economici credibili e comprovati. Un desiderio umano, che ci spinge a credere che le decisioni economiche dell’uomo più potente del mondo siano il risultato di un pensiero strategico, complesso, razionale.
di Edward Helmore (theguardian.com / dagospia.com, 19 novembre 2024)
I nomi sembrano quelli di un cast di talenti in procinto di calcare un red carpet o di partecipare alla famosa festa post-Oscar di Vanity Fair. Oprah Winfrey, Megan Thee Stallion, George Clooney, Leonardo DiCaprio, Bruce Springsteen e molti, molti altri. Questi sono solo alcuni dei nomi di celebrità di spicco che hanno sostenuto la corsa fallimentare di Kamala Harris alla Casa Bianca, rendendola una delle campagne politiche più costellate di star nella storia degli Stati Uniti.
«Hai fatto tutto questo casino per uno di cui neanche sai il nome? E pensi ancora che il prossimo presidente debba essere una donna?». Lo dice Alec Baldwin a Tina Fey, è il 2007, è un altro mondo: non solo Hillary Clinton non ha ancora neppure perso le primarie contro Barack Obama, ma si possono ancora fare battute sui due che sovrintendono alla reputazione dei neri famosi in America: Oprah Winfrey e Bill Cosby.
Martedì 10 settembre, pochi minuti dopo la fine del dibattito fra Donald Trump e Kamala Harris, i candidati alla presidenza degli Stati Uniti, la cantante Taylor Swift ha pubblicato un post su Instagram per annunciare che a novembre avrebbe votato per Harris. La sua dichiarazione di voto è molto significativa per via del suo enorme pubblico ed era molto attesa: nonostante avesse appoggiato candidati Democratici in passato, fra cui lo stesso presidente Joe Biden alle elezioni del 2020, non si era ancora espressa riguardo alle elezioni del 2024.
«Kamala Harris, si. Se puede». A tradurre in spagnolo lo slogan lanciato da Barack Obama, «Yes she can», è stata Eva Longoria, che ieri è salita sul palco della convention di Chicago per dare la sua benedizione alla candidata dem. «Somos familia, in America siamo tutti la stessa famiglia e dobbiamo guardarci le spalle». L’attrice e modella texana di origini messicane era lì per legittimare la candidatura della Harris all’elettorato ispanoamericano.
Mentre i Repubblicani esultano per il declino mentale di Joe Biden, una docente di Legge ha lanciato tra i donatori democratici un piano per arruolare tre donne e sparigliare le carte: Michelle Obama, Taylor Swift e Oprah Winfrey. Le tre star verrebbero chiamate a guidare forum pubblici per valutare in tempi brevi la migliore alternativa a Biden, se il presidente degli Stati Uniti decidesse di ritirarsi dopo la disastrosa prova nel duello televisivo con Donald Trump.
Dalla lettera di Oprah Winfrey a quella di Kim Jong-un, l’annunciato libro di Donald Trump esce martedì 25 aprile, con i documenti della sua privata corrispondenza con leader politici, membri reali, star dello spettacolo e big dell’economia, in un periodo che parte da prima del suo ingresso alla Casa Bianca. Il titolo non lascia spazi a fantasie, Letters to Trump, “Lettere a Trump”, ma poteva chiamarsi “La vendetta”.
Sfidando il suo cerchio magico e i big del partito repubblicano, Donald Trump ha dato il suo endorsement per la carica di senatore della Pennsylvania al controverso cardiochirurgo Mehmet Oz, celebre e chiacchierato personaggio televisivo, conosciuto dagli americani come Dr. Oz, conduttore del The Dr. Oz Show. Nato a Cleveland, in Ohio, da genitori turchi, 61 anni, laureato ad Harvard e poi diventato un accademico alla Columbia come “professore emerito di Chirurgia”, Oz ha assunto i contorni della star quando è diventato presenza fissa del popolare talk show condotto da Oprah Winfrey. Dopo cinque anni come ospite, Oprah gli propose di condurre un programma in prima persona. Dalla tribuna televisiva il Dr. Oz, come luminare della scienza, ha lanciato una serie di messaggi controversi.
Nel 2012 Invisible Children era una semisconosciuta associazione californiana impegnata da otto anni in attività di informazione e sensibilizzazione dei Paesi occidentali sui crimini commessi in Africa Centrale da un violento gruppo di milizie fondamentaliste guidato da un leader ugandese chiamato Joseph Kony. Nei primi giorni di marzo di quell’anno, esattamente dieci anni fa, il nome e il lavoro di Invisible Children diventarono eccezionalmente noti negli Stati Uniti e in molti altri Paesi del mondo, oltre ogni realistica previsione, dopo che l’associazione pubblicò su Internet un documentario di circa mezz’ora intitolato Kony 2012. In sei giorni diventò il primo video su YouTube a essere visto oltre 100 milioni di volte.
di Roberta Mercuri (vanityfair.it, 5 gennaio 2022)
Dopo che Harry e Meghan Markle, nella famosa intervista bomba ad Oprah Winfrey, avevano fatto a pezzi la royal family accusandola persino di razzismo, la popolarità dei Windsor negli Stati Uniti era colata a picco. È bastata la tenera risposta della regina Elisabetta II a una bambina che si veste come lei per cambiare tutto. Lo scorso ottobre, i genitori di Jalayne Sutherland, bimba di un anno dell’Ohio, hanno inviato a Buckingham Palace una foto della figlia vestita come la sovrana, con tanto di corgi ai suoi piedi. A scegliere la mise era stata la madre Katelyn: cappellino con fiori e cappottino azzurro, parrucca bianca, guanti, collana di perle, e l’immancabile borsetta.