di Daniele Cassandro (internazionale.it, 19 ottobre 2020)
La Joni Mitchell degli anni Ottanta non è mai stata amata. Giornalisti musicali e fan erano rimasti affezionati a capolavori come Blue o Hejira e, in quegli anni turbolenti, se li stringevano addosso come la coperta di Linus. Per questo la generazione che aveva trenta o quarant’anni nel 1985 accolse con imbarazzo un album di pop elettronico e sperimentale come Dog eat dog. Perché tutti quei sintetizzatori? Perché quei testi spigolosi e arrabbiati? Soprattutto, che fine ha fatto la chitarra acustica? Per la maggior parte di loro Joni Mitchell doveva essere ancora, e per sempre, la musa hippy di Woodstock e nessuno era disposto a vederla trasformarsi in un incrocio tra la Laurie Anderson di Big science e il Neil Young sintetico di Trans. Continua la lettura di I rabbiosi anni Ottanta di Joni Mitchell