Elon Musk ha annunciato via Twitter la sospensione dell’account di Kanye West sul social oggi di sua proprietà. La motivazione è per aver violato le regole di Twitter contro l’incitamento alla violenza. «Ho fatto tutto quello che ho potuto, ma nonostante questo Kanye West è tornato a violare le nostre regole contro l’incitazione alla violenza, l’account sarà sospeso».
Mi sembra che molto di quanto sta accadendo in questo secolo – dall’11 settembre ai No vax, da Chiara Ferragni a Gucci, da QAnon al negazionismo su Bucha – possa essere spiegato con la differenza tra fede e fiducia. Non parlo soltanto di fede religiosa, per quanto centrale sia stato e sia il terrorismo islamico negli ultimi trent’anni. Parlo del fatto che la fede sta tornando a prevalere sulla fiducia in ogni campo, dalla politica al marketing. Parlo del fatto che a decidere l’identità e l’appartenenza di masse sempre più grandi di persone, e a determinare quindi che cosa debba essere considerato vero e reale, sia sempre di più l’atto di credere. Quando parliamo di fake news, quando ci chiediamo come mai il movimento No vax sia così esteso e come possa essere possibile che in tanti, non solo in Russia, pensino che le stragi in Ucraina siano una montatura, ci stiamo meravigliando del fatto che esiste un’umanità che ha una fede alternativa alla nostra.
Se qualcuno fa il saluto nazista, già è grave di per sé. Se adolescente, forse ancor più; e sicuramente se fa un lavoro – ad esempio lo sportivo – che lo espone a diretto contatto col pubblico. Se poi è russo, la faccenda tracima nel tragico e sfiora addirittura il ridicolo, alla luce del corrente progetto di denazificare l’Ucraina. Per questo ha fatto scalpore il saluto nazista con cui un quindicenne russo pilota di kart, Artyom Severyukhin, ha salutato la propria vittoria ai campionati europei. La Fia lo ha condannato, la scuderia lo ha licenziato in tronco, lui si è scusato in modo inoppugnabile: “Nelle mie azioni non c’era alcuna intenzionalità”.
Quando è salito sul ring al Palachiarbola di Trieste per disputare il titolo italiano dei pesi Superpiuma (vinto poi da Hassan Nourdine) aveva indosso solamente i pantaloncini, perciò il corpo nudo del pugile triestino Michele Broili è apparso pieno di tatuaggi. Fin qui, nulla di strano. Quei tatuaggi sul torace e sulle braccia, però, hanno richiami palesemente nazisti. In bella vista compare “Ritorno a Camelot”, che è il nome di un raduno quinquennale organizzato da movimenti neonazisti italiani ed europei. Ci sono poi la “testa di morto”, il totenkopf, che richiama l’unità paramilitare addetta alla custodia dei campi di sterminio della Germania nazista, il simbolo delle SS.
di Francesco Cundari (linkiesta.it, 10 settembre 2021)
Prima il sottosegretario leghista, Claudio Durigon, che propone di intitolare ad Arnaldo Mussolini un parco di Latina già dedicato alla memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: frase infelice secondo Matteo Salvini, un banale errore di comunicazione secondo l’interessato (che comunque, dopo molte resistenze, ha portato alle sue dimissioni dal governo). Poi il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, che in un post su Facebook annuncia la brillante iniziativa del bunker-museo di Recoaro Terme, occupato a suo tempo dai nazisti del maresciallo Kesselring: offrire visite guidate alla struttura accompagnati da personale in divisa della Wehrmacht.
Più sono atroci, più fanno ridere. Più sembra che non ci sia niente da ridere, più le ironie sono divertenti. Più è spinoso l’argomento, più si crea nel pubblico una strana forma di eccitazione data dalla consapevolezza di essere parte di qualcosa di scomodo, per alcuni condannabile e in un certo senso tabù. Ridere del nazismo e del fascismo rientra perfettamente nella categoria, e negli anni diversi film (non tantissimi) hanno preso questa strada con successo. Questa settimana I predatori dà una spallata all’idea.Continua la lettura di Le migliori 10 commedie gioiosamente nazifasciste→
Quando si ha un ruolo pubblico, anche come personaggi televisivi e come influencer su Instagram, bisognerebbe stare molto attenti a quello che si pubblica. Soprattutto quando si tratta di rievocazioni di simboli di estrema Destra, legati a pagine buie della storia dell’umanità. Le sorelle Enardu (Serena ed Elga), conosciute nel campo della tv e della moda, hanno partecipato a una festa di compleanno nella serata di ieri, nel corso della quale è apparsa una torta “decorata” con una svastica.Continua la lettura di La svastica sulla torta→
In mezzo alle polemiche per il mancato lockdown, e gli elogi per il mancato lockdown, il dibattito culturale svedese ha trovato spazio per quello che sembra un caso di censura. Per un Paese che vanta una lunga storia di libertà di opinione questa è senza dubbio una questione scottante. Al centro di tutto, il nuovo libro di Aron Flam. Attore comico di stand-up, film e televisione, autore di podcast, programmi radio, è noto nel Paese per la sua ironia tagliente e il gusto per la provocazione (soprattutto su temi come femminismo e socialismo), oltre a essere un convinto liberal in grado di vendere migliaia di copie con titoli che fanno a pezzi tabù culturali ancestrali.Continua la lettura di Lo strano caso della Svezia che censura il libro di un comico→
Facebook ha rimosso una pubblicità della pagina Team Trump, il comitato elettorale di Donald Trump [e del suo vice, Mike Pence – N.d.C.], che usava un simbolo riconducibile ai campi di concentramento nazisti. La pubblicità era un post in cui si parlava di «Pericolosi gruppi di estrema Sinistra» che «stanno distruggendo le nostre città» e si chiedeva di firmare una petizione per sostenere la proposta di Trump di dichiarare il gruppo di attivisti Antifa un’organizzazione terroristica. Il post era accompagnato da un’immagine: un triangolo rosso capovolto, simile a quello che veniva usato dai nazisti per indicare i prigionieri politici.
Johann Trollmann pianse di felicità al suono del gong che segnò, dopo sei round, la fine del match con “l’ariano” Adolf Witt: lui, pugile di etnia sinti, aveva coronato il suo sogno, diventando campione tedesco dei pesi medi. E questo nonostante un gerarca nazista presente – tale Georg Radamm, incidentalmente presidente dell’associazione dei pugili tedeschi – avesse cercato di far annullare l’incontro: la folla invase il ring, difese il suo campione e lo portò via in trionfo. Ma Rukeli – questo il suo soprannome da “zingaro” – non sapeva che questa storica vittoria avrebbe anche segnato l’inizio della sua discesa agli inferi.Continua la lettura di Rukeli, il pugile zingaro che il Terzo Reich temeva→