di Fabiana Giacomotti (ilfoglio.it, 9 settembre 2022)
Nessuno più di Elisabetta II, forse solo quella non parente Tudor che per prima portò il nome sul trono di Saint James, conosceva il valore profondo, simbolico, feticista nel senso originario, cioè para-religioso, del sostantivo “insegna”. In signo, in hoc signo vinces. Tutti rappresentano e definiscono la stessa cosa: le in-segne, cioè il segno visibile del potere. Qualunque esso sia: il camice del medico, la divisa militare, la corona.
Tra i banchi del Parlamento Ue, dove oggi è stata ospite d’onore del discorso sullo Stato dell’Unione di Ursula von der Leyen, la first lady ucraina Olena Zelenska conferma il suo ruolo di “ambasciatrice” di Kiev sulla scena internazionale. Laddove il marito Volodymyr Zelensky – il comico diventato leader di guerra – rimane sul campo, intento a tenere alto il morale del popolo e delle truppe contro l’invasione russa, la moglie 44enne è uscita dall’ombra ed è diventata il volto delle sofferenze umane dell’Ucraina. Laureata in Architettura e sceneggiatrice di commedie, prima di diventare first lady Zelenska appariva raramente in pubblico: non dava interviste, aveva un profilo Instagram solo privato e lavorava dietro le quinte della società della casa di produzione Kvartal 95, co-fondata dallo stesso Zelensky e che sta dietro alla serie di successo che lo ha portato alla ribalta, Servo del popolo.
di Ilaria Perrotta (vanityfair.it, 14 settembre 2022)
Non è da tutti trasformare un piccolo principato da impervio tratto di scogliere a regno del glamour e focus del lifestyle più chic. Non è da tutti, ma solo da Grace Kelly. Era il 12 settembre 1982 quando l’attrice hollywoodiana diventata principessa precipitava con una Rover 3500 da tre posti in una strada panoramica che collega Roc Agel a Monte Carlo. Quaranta metri di salto nel buio, come quarant’anni dalla scomparsa, avvenuta due giorni dopo l’incidente, il 14 settembre. Seduta accanto a lei in macchina la figlia Stéphanie, sopravvissuta per miracolo. A occupare il terzo posto, quello per cui lei — che non amava guidare — aveva rinunciato all’autista, un baule di abiti da portare al sarto per alcuni ritocchi in vista di una trasferta parigina. Proprio per la moda o forse, meglio, per quell’attitudine innata all’eleganza che la spingeva ad apparire sempre al meglio, Grace Kelly probabilmente è scomparsa.
È questa l’ultima iniziativa in ordine di tempo avviata dal fashion system a supporto dell’Ucraina, invasa dalla Russia più di cinque mesi fa. Autore del progetto è Demna Gvasalia, forse il designer oggi più rilevante, con il brand di cui è direttore creativo, Balenciaga. L’annuncio dell’operazione è stato dato nel pomeriggio del 28 luglio dallo stesso presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky attraverso il suo account Instagram. Il presidente ha spiegato che Demna – che già s’era schierato a favore del popolo ucraino durante la sfilata del brand per l’Autunno/Inverno 2022, lo scorso marzo a Parigi – è diventato ufficialmente un ambasciatore di United24, l’organizzazione ufficiale del governo ucraino che si occupa di raccogliere e ridistribuire le donazioni arrivate in questi mesi da tutto il mondo.Continua la lettura di Una felpa a supporto dei profughi ucraini→
Quelli del Pd non sudano, dice Matteo Salvini. Ed Enrico Letta che fa? In tv replica sibillino: «Non pensavo fossimo già a questi livelli». In questo botta e risposta da inizio campagna elettorale a dividere i due leader di partito non è solo il sudore, ma anche la differenza di look con i quali si presentano agli elettori. Formal suit del perfetto uomo delle istituzioni, abito grigio e camicia celestina per il segretario dem. Calzoncini, polo colorate, camicia di lino e scarpe di tela per il leader della Lega. E se è vero che l’abito non fa il monaco, non è certo un caso che il leader del Pd sia sempre impeccabile in fatto di stile. Salvini sui look incassa spesso colpi, certo, ma in quanto a mise camaleontiche non risparmia fendenti. E, alla fine, veste sempre come vuole. Divisi, i due, lo sono non solo sulle idee ma anche sugli abiti, come il giorno e la notte.
Dove son finiti i tempi in cui la sinistra si criticava perché troppo elegante, gli anni in cui Fausto Bertinotti veniva lapidato per un maglioncino di cachemire (che si difese dicendo “era usato!” e poi iniziarono a regalargliene, anche le operaie, per solidarietà o sberleffo). I tempi in cui lo spin doctor di François Mitterrand, Jacques Séguéla, consigliava al futuro presidente di mettersi degli abiti un po’ più stropicciati, un po’ più consunti, per avere il favore del popolo in campagna elettorale, riservando l’eleganza formale (che gli donava eccome) solo a certe occasioni, come le nozze di Carlo e Diana. Con il nuovo turn-out elettorale in Francia, i membri del nuovo gruppo Nupes sono arrivati al Palais Bourbon un po’ troppo casual, tanto che il sociologo Mathieu Bock-Côté ha detto: “Non ci si presenta in maniche di camicia all’Assemblée Nationale”, così come “non ci si presenta in bermuda e infradito a un colloquio di lavoro”.
Qualche giorno fa, in un articolo del New York Times, il giornalista Nick Haramis ha raccontato che a Los Angeles si parla dell’esistenza di un professionista che i personaggi famosi pagherebbero per scegliere al posto loro i libri da leggere, o meglio: quelli con cui comparire in pubblico e farsi fotografare, indipendentemente che li si legga o no. Il compito del o della “book stylist” non sarebbe infatti di consigliare delle letture ma di trattare i libri come fossero vestiti, borse e gioielli, come degli accessori insomma, da accordare alla celebrità o all’influencer in questione. Al momento non si sa chi si serva del suo aiuto – scoprirlo rovinerebbe il senso del suo lavoro – e, scrive Harris, la sua identità «come nei finali più inquietanti della letteratura, rimane un mistero». Non è certo la prima volta che i libri sono trattati solo dal punto di vista estetico o per suggerire una certa idea intellettuale di sé: per esempio, i professionisti a cui rivolgersi per riempire la libreria di casa in base alle tonalità del soggiorno esistono già.
Domenica pomeriggio i sette leader che rappresentano i Paesi membri del G7 sono stati fotografati alla fine di tre sessioni di incontri del summit che si sta tenendo in questi giorni in Germania. Oltre a Mario Draghi, Justin Trudeau, Olaf Scholz, Emmanuel Macron, Joe Biden, Boris Johnson e Fumio Kishida c’era solo una donna, Ursula von der Leyen, in rappresentanza dell’Unione Europea; ma c’è stato anche un altro dettaglio notato dai commentatori più attenti allo stile: i leader erano sì in abito, ma le loro camicie bianche avevano il colletto sbottonato, senza cravatta. Su Twitter, il giornalista esperto di abbigliamento maschile Derek Guy ha commentato la foto con un breve post introdotto da una frase lapidaria: «La cravatta è morta».
di Giorgia Olivieri (vanityfair.it, 20 marzo 2022)
Non si tratta solo di creare vestiti belli ma anche di disegnare abiti confortevoli, eleganti, attenti all’etichetta e all’occasione. Questo è ciò che viene richiesto a una maison quando viene chiamata da una casa reale. È un patto che diventa un vero e proprio sodalizio, con le sue croci e le sue delizie. Sono molto diversi tra loro gli stilisti che lavorano con regine di oggi e di domani. Edouard Vermeulen, designer della casa di moda Natan, considera la regina Mathilde come una di famiglia. Claes Iversen, uno dei designer preferiti di Maxima dei Paesi Bassi, è discreto per quanto riguarda il suo rapporto con la regina, ma questo non vuol dire che non possa avere una sua popolarità anche attraverso passaggi in reality show.
di Ilaria Perrotta (vanityfair.it, 20 aprile 2022)
Prima di scrivere l’articolo, la domanda che ci/vi poniamo subito è: in settanta anni di regno quanti abiti avrà indossato la regina Elisabetta? Centinaia di migliaia, milioni forse? Davvero difficile, dunque, sceglierne sette, uno per decade di monarchia, rappresentativi della sua personale storia della moda e, in generale, di quella del costume che anche lei ha contribuito a scrivere in svariati decenni. Dato che, poi, questo 21 aprile Sua Maestà aggiunge un’altra candelina alla fila, lunghissima, di fiammelle sulla sua torta. Happy birthday to you Lilibet, 96 anni and simply the best in the world. Spesso unica donna in stanze piene di uomini, attraverso il suo regno ha visto arrivare e andarsene svariate tendenze. Tra i suoi più grandi successi c’è, sicuramente, l’aver costruito nel tempo uno stile iconico e libero da convenzioni modaiole.