Il rapporto tra il mondo digitale e quello della carta stampata nasconde linee di continuità spesso trascurate. Meme, fake news, immagini e porzioni di testo remixate e incollate insieme sembrano novità recenti, ma il processo alla base della produzione di questi contenuti affonda le sue radici in un universo dimenticato, fatto di carta, inchiostro, concerti underground e centri sociali.
Un minuto e mezzo. Novanta secondi. La durata massima di un reel di Instagram, ma anche all’incirca quella dell’apparizione cameo di Kamala Harris lo scorso 2 novembre al Saturday Night Live, lo show comico di punta di Nbc, l’emittente “blue-Klein-democrats” (vuol dire “blu partito democratico”, volevo giocare con l’arte riferendomi a Yves Klein, un artista celeberrimo per il suo blu, ma mi sa che sul Post devo spiegarlo bene), al fianco della comedian Maya Rudolph.
«Oggi un candidato vicepresidente non attaccherebbe mai una donna che fa un figlio, quindi, come si dice, il mio compito è esaurito. Miao». Avevo vent’anni quando mi alzavo alle sei di mattina per vedere su Rete 4 Candice Bergen nel ruolo di Murphy Brown. Ne ho quasi cinquantadue quando Candice Bergen sale sul palco degli Emmy a fare una battuta didascalica ma perfetta. Quando fa ciò che il mondo – cioè: io – si aspetta da lei: ricordare al mondo – cioè: agli altri – che molto prima di J.D. Vance e delle gattare senza figli ci fu Dan Quayle che riteneva che un personaggio di fantasia che decideva di crescere un figlio senza padre costituisse un esempio che avrebbe minato le fondamenta della famiglia americana.
Quando la scorsa settimana Elon Musk ha condiviso su X un’immagine che apparentemente ritraeva una Kamala Harris vestita da dittatrice comunista, è stato subito evidente che l’illustrazione era un falso creato dall’Intelligenza Artificiale. La candidata alla presidenza degli Stati Uniti del Partito Democratico – appena uscita da un dibattito decisamente positivo contro il suo avversario Donald Trump – non è comunista, e (per quanto ne sappiamo) nemmeno una cosplayer che s’ispira all’Unione Sovietica.
Nella notte tra il 10 e l’11 settembre negli Stati Uniti sul canale Abc è andato in onda il primo (e finora l’unico) dibattito tra Kamala Harris e Donald Trump. Gli argomenti trattati sono stati i più svariati, dall’economia ai diritti riproduttivi, dalle guerre in Ucraina e Palestina all’immigrazione clandestina. I media americani sono piuttosto concordi nel dire che Harris è riuscita a mettere Trump in un angolo e sulla difensiva, mentre è chiaro che l’ex presidente abbia usato tutte le sue armi di propaganda per sviare dagli argomenti più stringenti e che lo vedono in svantaggio.
Siamo a Sylt, un’isola tedesca nel Mare del Nord meta di turisti giovani e benestanti. Sulla terrazza del Pony, un esclusivo ristorante di Kampen, un gruppo di ragazzi si scatena sulle note di L’amour toujours, la celeberrima hit del capitano Gigi D’Agostino, re della italodance, intonando un testo assai diverso da quello originale. «Deutschland den Deutschen. Ausländer Raus! Ausländer Raus! Ausländer Raus!», si sgolano i festaioli. Ovvero: «La Germania ai tedeschi, fuori gli stranieri».
Lo scorso 28 febbraio l’artista di strada polacco Kawu ha pubblicato sul suo profilo Instagram un murale da lui realizzato a Poznań, una città della Polonia occidentale. Raffigura il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nei panni di Harry Potter e il presidente russo Vladimir Putin come il suo antagonista Voldemort. L’immagine ha avuto successo sui social network, suscitando reazioni diverse: accanto a chi ha trovato calzante il parallelo tra i due capi di Stato e i personaggi di J.K. Rowling, autrice della saga di romanzi per ragazzi Harry Potter, c’è chi l’ha criticata per la superficialità con cui tratta un conflitto complesso e tragico, riducendolo a una banale lotta tra il bene e il male. Negli ultimi anni, infatti, la serie di Harry Potter è stata spesso utilizzata per commentare la cronaca politica, tanto da aver ispirato un meme che è tornato a circolare, soprattutto su Twitter, in questi giorni: “Read another book”, ovvero “Leggete un altro libro”.
di Daniele Tempera (giornalettismo.com, 1° giugno 2020)
“Il medium è il linguaggio” diceva Marshall McLuhan, uno dei più grandi teorici della Comunicazione di massa del Novecento. Una massima interpretata magistralmente dal versatile Antonio Razzi, ex parlamentare Idv e Forza Italia, celebre tanto per la sua amicizia con Kim Jong-un e la sua simpatia per la Corea del Nord, tanto per le sue massime, divenute in breve (anche per la brillante imitazione di Maurizio Crozza) dei veri propri tormentoni della cultura pop italiana.
Due giorni fa sul profilo Instagram @kalesalad, seguito da tre milioni e mezzo di follower, è apparso lo screenshot di una conversazione tra il titolare dell’account e Michael Bloomberg contenente questo scambio: «Salve Mr. Salad. Puoi pubblicare questo meme per farmi sembrare figo per le prossime primarie democratiche?».