Cantanti contro politici. Uno scontro che si ripete da anni, ogni volta che arriva la stagione elettorale e il candidato di turno utilizza il brano del proprio artista o band preferita come colonna sonora della propria campagna. L’ultimo match vede protagonisti il multimilionario biotecnologico e potenziale candidato repubblicano americano Vivek Ramaswamy ed Eminem.
L’attore Richard Gere sarà sentito il 6 ottobre come teste di parte civile al processo Open Arms. Il dibattimento, in corso a Palermo davanti al Tribunale, vede imputato il ministro Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per avere impedito illegittimamente lo sbarco di un gruppo di migranti soccorsi dalla nave della ong spagnola Open Arms ad agosto del 2019.
Per rispetto della nostra storia, indossate la spilletta con Alberto da Giussano. È quanto chiede ai deputati della Lega il capogruppo alla Camera, Riccardo Molinari, che ha firmato negli scorsi giorni una lettera indirizzata ai 66 deputati del Carroccio, in cui ricorda la storia del guerriero che si oppose alle armate di Federico Barbarossa. «Gli ideali» si legge nella missiva visionata dall’AdnKronos «si identificano spesso con i simboli, e la nostra storia è legata a un simbolo di libertà per antonomasia».
di Fabiana Giacomotti (ilfoglio.it, 12 giugno 2023)
Ne avesse comprate anche solo poche decine e non centinaia, come infatti faceva per i suoi regali di Natale, le cravatte di Maurizio Marinella, e quella sua raffinata bottega a due passi da Castel Dell’Ovo, avrebbero comunque un debito eterno nei confronti di Silvio Berlusconi. Come la sartoria milanese Caraceni, come le camicie di Siniscalchi.
La prima volta era il settembre del 2001, e ancora non avevamo tutti un telefono con dentro la telecamera. Però nella scuola in cui George W. Bush stava leggendo le fiabe ai bambini c’era ovviamente una troupe, e quindi per tutta la vita poi il poverino è stato quello: il presidente inadeguato che fa la faccia da coglione che non capisce quando gli dicono dobbiamo andare, si è schiantato un aereo sul World Trade Center.
di Andrea Marcenaro (ilfoglio.it, 28 gennaio 2023)
Bei tempi. Chi si ricorda di Marylin Monroe e di Jane Mansfield quando andavano in Corea a mostrare le tette ai militari in un contesto intasato di morti proprio lì, a due centimetri di distanza, altro che Sanremo, e i soldati le applaudivano contenti.
Sanremo è una forma di welfare comunicativo. Ogni anno garantisce due mesi di carro di visibilità su cui salire per avere il proprio titolo di giornale. Tre anni fa ne approfittarono le femministe dell’Instagram, quando Amadeus disse che la fidanzata di Valentino Rossi stava un passo indietro: poteva non approfittarne Matteo Salvini?
È almeno dal 2016 che si discute del ruolo delle pubblicità politiche sui social network, e su Facebook in modo particolare. All’epoca le piattaforme digitali erano state accusate, a torto o a ragione, di aver contribuito all’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti nel 2016 permettendo la pubblicazione di inserzioni elettorali che contenevano informazioni false o fuorvianti e di non essere state sufficientemente trasparenti sul tipo di inserzioni che venivano indirizzate ai loro utenti.
di Riccardo Luna (repubblica.it, 27 settembre 2022)
Venerdì 23 settembre, ultimo giorno di campagna elettorale, mentre gli altri leader parlavano in qualche piazza fisica, Matteo Salvini ha creato una piazza virtuale unendo in un’unica diretta TikTok, Facebook, Instagram, YouTube e Twitter: Maratona Salvini il titolo dell’evento, scelto perché il comizio digitale è durato addirittura quattro ore. Alla fine gli organizzatori hanno diramato “numeri mai visti”: 3 milioni di interazioni, di cui oltre la metà solo su TikTok, con oltre 220mila spettatori unici. Un successo evidente, che però non si è tradotto in voti per la Lega, ennesima riprova del fatto che i tweet non finiscono nelle urne elettorali, che i follower non sono tutti elettori e che l’engagement non misura il consenso, ma è semmai una misura della capacità d’intrattenimento del pubblico dei social: quanto sei stato capace di farlo divertire, o interessare, o spesso anche arrabbiare.
All’inizio del Novecento l’avanguardia futurista italiana esaltava il varietà perché meraviglioso ed eccentrico, antintellettuale e popolare, capace di stupire, divertire, emozionare, abbindolare gli spettatori con la rapidità e il sensazionalismo del suo messaggio. Il teatro della sorpresa, come titolava il manifesto firmato da Filippo Tommaso Marinetti e Francesco Cangiullo nel 1921, doveva perciò gettare alle ortiche ogni scoria élitaria e diventare alogico, irreale. Artificio, comicità, imprevedibilità, testi scarni e insignificanti personaggi erano i canoni e i valori della drammaturgia futurista. Nel 1961 Martin Esslin pubblica The Theatre of the Absurd, dove campeggiano i nomi di Samuel Beckett, Eugène Ionesco, Jean Genet, capostipiti di un genere letterario celebre per il suo humour grottesco, le sue atmosfere surreali, il suo linguaggio ripetitivo, frammentato, privo di senso.