Da mesi la giunta militare che governa il Myanmar non riesce a vendere la villa di famiglia dell’ex leader Aung San Suu Kyi, che, nel febbraio di tre anni fa, in seguito a un colpo di Stato, fu arrestata insieme a molti altri politici a lei vicini, con accuse ritenute politicamente motivate. L’ultima asta pubblica è stata organizzata giovedì, ed è stata sostanzialmente inutile, dato che all’annuncio del banditore nessun acquirente ha presentato un’offerta: era già successo a marzo.
di Lorenzo Ciofani (cinematografo.it, 23 gennaio 2024)
Norman Jewison non ha mai vinto un Oscar. In compenso, l’Academy gli ha conferito il Premio alla memoria Irving G. Thalberg, che consiste in un busto del leggendario direttore della Divisione Produzione della Mgm e celebra i “produttori creativi, i cui lavori riflettono delle continue produzioni cinematografiche di alto livello”. Questo perché Jewison, nato a Toronto nel 1927 e morto sabato 20 gennaio a 97 anni, i suoi film li ha diretti e prodotti, in un paio di occasioni anche scritti.
di Roberto Brunelli (hollywoodreporter.it, 11 dicembre 2023)
C’erano tutti, c’erano le candele, c’era la commozione, c’era il bisogno di esserci, c’era il rimpianto, c’era la speranza. Molti si tenevano per mano, si passavano le foto di John. E cantavano. Era l’8 dicembre, ma non quello del 1980. Non era neanche uno dei giorni successivi, quando a decine di migliaia si ritrovarono al Central Park – il punto esatto oggi è conosciuto come Strawberry Fields – per piangere insieme l’addio a John Lennon. Che era stato ammazzato a pochi metri di distanza, all’ingresso di casa sua, il Dakota Building a Manhattan.
di Daniele Cassandro (internazionale.it, 2 novembre 2023)
Sulla copertina di We insist! Max Roach’s freedom now suite, album del 1960 del batterista jazz Max Roach, vediamo una foto in bianco e nero con tre uomini neri seduti al bancone di una tavola calda. Dietro al bancone un cameriere bianco guarda nell’obiettivo con disagio. Anche i tre uomini guardano verso di noi, ma la loro è un’aria di sfida.
L’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump si è consegnato giovedì alle autorità della Georgia, dove è stato incriminato con l’accusa di aver tentato di sovvertire i risultati ufficiali delle elezioni presidenziali del 2020. Il suo arresto è stato accompagnato da una foto segnaletica, la prima a un ex presidente degli Stati Uniti che sia mai stata fatta, e che immediatamente è diventata un’immagine storica. Nella legge statunitense questo tipo di foto è noto come mugshot, e consiste in una coppia di immagini in cui tradizionalmente la persona arrestata appare di fronte e poi di profilo.
Addio a un mito della musica e dei diritti civili: Harry Belafonte, che negli anni Cinquanta aveva sfondato le classifiche pop ma anche le barriere della razza, diventando una forza nel movimento per i diritti degli afroamericani, è morto a 96 anni nella sua casa dell’Upper West Side di Manhattan. Nato a Harlem da genitori originari di Martinica e di Giamaica, amico da giovane di Martin Luther King e da vecchio grande oppositore di Donald Trump, Belafonte portò alla ribalta la musica caribica con canzoni come Day-O (The Banana Boat Song) e Jamaica Farewell.
Quando Nina Simone morì, il 21 aprile 2003, a settant’anni, fu celebrata come una delle più importanti musiciste del Novecento. Era un riconoscimento non scontato, perché nella sua lunga carriera, iniziata negli anni Cinquanta, aveva attraversato lunghi anni di oblio durante i quali era passata di moda, soprattutto negli Stati Uniti.
Bill Russell, morto domenica scorsa a 88 anni, è stato il giocatore di basket americano più vincente di sempre. Ha giocato in Nba per tredici stagioni fra il 1957 e il 1969, tutte con i Boston Celtics, e ha vinto il titolo undici volte. È riconosciuto da molti esperti come uno dei cinque migliori giocatori della storia e prima dell’arrivo di Michael Jordan era spesso indicato come il migliore in assoluto, preferito a Wilt Chamberlain, contro cui ha giocato per gran parte della carriera. Con il suo stile di gioco particolarmente focalizzato sulla fase difensiva e il suo fisico agile e asciutto ha cambiato il ruolo del centro, ancora più fondamentale di oggi: all’epoca i giocatori più alti e potenti dominavano la lega americana. Chiudendo la carriera nel doppio ruolo di giocatore e allenatore, è diventato il primo nero a guidare una squadra Nba, vincendo due campionati.
Per capire come mai l’America è in lutto per la scomparsa, a 89 anni, dell’attrice Nichelle Nichols, il tenente Uhura di Star Trek, si può dire — semplicemente — che fu tra i pionieri dei diritti civili dei neri, e che sul ponte dell’astronave Enterprise (in onda in tv dal 1966 al 1969 e poi attraverso sei film al cinema) ha incarnato l’ideale di un mondo dove le razze non contano più. Perché, nel futuro immaginato per la serie di fantascienza, sull’Enterprise gli ufficiali erano bianchi, neri, asiatici, senza distinzioni e nella massima normalità. In quel 1966 erano da poco più di un anno stati smontati (a malincuore) negli Stati del Sud della segregazione razziale i cartelli “whites only”, riservato ai bianchi, ma in tv il tenente Uhura incarnava un futuro diverso e inevitabile. Protagonista anche del primo bacio interrazziale della tv americana con il capitano Kirk, cosa assolutamente scandalosa nel 1968.
Lewis Hamilton e Lebron James che si schierano per il Black Lives Matter, Serena Williams che si mobilita per i diritti delle donne delle minoranze, Eric Cantona che senza mezzi termini condanna i mondiali di calcio in Qatar. Ci sarebbero anche altri esempi da portare, ma tutti hanno una cosa in comune: la loro voce si leva oggi perché, per primo, a farlo in quanto star dello sport conscia della propria responsabilità, lo fece un ragazzo nato a Louisville, Kentucky, il 17 dicembre di ottant’anni fa. Venne registrato all’anagrafe dal padre pittore come Cassius Marcellus Clay, ma sarebbe diventato tra i personaggi più iconici della storia del XX secolo con il nome che lui stesso si scelse: Muhammad Ali.