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Kanye West vuole comprare Parler

(lastampa.it, 17 ottobre 2022)

Il controverso rapper americano Kanye West è pronto ad acquistare Parler, il social network conservatore che ha avuto anche un ruolo nell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 e che per questo era stato bandito da Google Play e App Store. Quella dell’artista, che è passato da Kanye a Ye, è una mossa che arriva dopo l’estromissione da Twitter per un post antisemita nei confronti dell’American Jewish Committee che già aveva segnalato i contenuti dei suoi post su Instagram.

Reuters

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“Another love”, l’inno delle donne ucraine e iraniane della generazione TikTok

di Stefano Pistolini (linkiesta.it, 3 ottobre 2022)

Dopo l’ennesimo revival di Bella ciao come inno di lotta ai quattro angoli del mondo, nemmeno fosse il passaparola della parte giusta, perché contiene la parola-chiave a cui gira attorno la canzone – “l’invasor” – che traccia il confine netto tra bene e male, da qualche mese succede un’altra cosa, più indefinibile, incastrata com’è tra i gangli della comunicazione contemporanea. C’è questo pezzo, Another love, vecchio di una decina d’anni, scritto dal cantautore inglese Tom Odell quando era un ragazzo.

Unsplash

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Il racconto dell’influencer

di Guia Soncini (linkiesta.it, 27 settembre 2022)

«Oggi inizia la resistenza», twitta Francesca Michielin, che di mestiere presenta X Factor, ma è evidentemente pronta non dico a salire sulle montagne col mitra ma almeno ad andare a Cortina con un paio di sci nuovi (spero che gli impianti ampezzani di neve finta siano migliorati rispetto ai miei tempi, quando la rivoluzione volevamo farla, pensa te, contro la Dc, ma almeno non avevamo luoghi pubblici in cui dichiarare la nostra scemenza giovanile). Il giorno prima, mentre l’Italia votava come ampiamente previsto Giorgia Meloni, la sinistra dell’Instagram s’indignava per le stronzate, come aveva fatto per tutto il resto della campagna elettorale e della vita. È normale che sia così: siamo una società in cui il benessere è diffuso e i bisogni primari sono soddisfatti, ci resta tempo per occuparci di stronzate e quindi lo facciamo. Il dettaglio grave è l’apparente incapacità di distinguere tra le stronzate e le cose serie, riuscendo ad avere l’approccio sbagliato a entrambe.

Ben Daniel

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Il narcisismo dei politici che fanno storie su Instagram

di Guia Soncini (linkiesta.it, 21 settembre 2022)

Una volta Enrico Vanzina disse d’aver capito che c’era stato uno slittamento tra la destra e la sinistra com’eravamo abituate a pensarle quando aveva visto che, al cinema dei Parioli, la borghesia romana andava a vedere i Dardenne: annoiandosi moltissimo, ma non correndo il rischio d’apparire impresentabile. Io non ho capito dove saremmo andati a finire con Instagram prima che Instagram esistesse, nonostante la vita si fosse impegnata a spiegarmelo. Successe all’inizio di questo secolo, quando il consumo televisivo che piaceva ostentare a chi al cinema guardava i Dardenne era quello di Desperate Housewives. La Rai organizzò un giro promozionale romano delle attrici che interpretavano le massaie dei Parioli americani, e la giornata si concluse con una cena sulla terrazza del Campidoglio.

Pro Church Media / Unsplash

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Da Ferragni a Elodie, gli influencer che possono spostare voti

di Lidia Sirna (ilmattino.it, 26 luglio 2022)

In principio c’era solo la coppia più pop del web: Chiara Ferragni e Fedez. Poi si è capito che l’intrattenimento di massa si era spostato sui social e così gli influencer della politica si sono moltiplicati. Oggi nascono, crescono e poi si schierano. Se i Ferragnez sono diventati la coppia più nota d’Italia, del resto, lo si deve anche – forse – al loro attivismo politico e sociale. Durante la prima ondata della pandemia di Covid-19, tanto per fare un esempio, organizzarono una raccolta fondi per costruire un reparto di terapia intensiva. Gesto che è valso loro il prestigioso Ambrogino d’Oro, consegnato direttamente dal sindaco di Milano Beppe Sala. Capita, dunque, che la più classica delle dinamiche italiane (la caduta di un governo dopo un ultimatum) travalichi i binari della comunicazione tradizionale e paludata.

iStock

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Sale l’asticella per accedere allo stardom

di Costantino della Gherardesca (ilfoglio.it, 14 maggio 2022)

Nel 2005, durante la settimana della moda milanese, c’era un nome sulla bocca di tutti: Serpica Naro, una stilista anglo-nipponica che per creare la sua prestigiosa linea di stivali aveva decimato gli esemplari di rana persico, anfibio la cui pelle squamosa sembra fatta apposta per essere immolata sull’altare dello shoe design. I consumatori di moda dell’hinterland si bevvero la bufala, mentre le più maliziose milanesi si accorsero del trucco: Serpica Naro e rana persico erano anagrammi di San Precario, un collettivo nato nel 2004 per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema del precariato, un fenomeno che allora si considerava reversibile, forse perché l’Èra dell’Ingenuità (gli anni Novanta) non aveva ancora esaurito la sua energia. Ora, vi chiederete voi, per quale motivo mi tornano in mente queste vecchie storielle da nonno di Madison Avenue?

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L’attivismo su TikTok è concreto o virtuale?

di Yezers, a cura di Ellen Stephany Vanegas (huffingtonpost.it, 12 aprile 2022)

L’uso propagandistico dei social media è cosa assai nota. Negli anni Trenta c’era la radio, oggi c’è Meta, la vecchia Facebook, al centro di numerose critiche a seguito dello scandalo Cambridge Analytica. I social media, nati come nuove forme di comunicazione e innovazione, ben presto si sono rivelati essere terreno fertile per la diffusione di fake news, che alimentano la rabbia sociale, canalizzata in campagne d’incitamento all’odio, troppo spesso riconducibili a correnti politiche di estrema destra. I partiti progressisti, infatti, hanno fallito là dove i partiti di destra sono riusciti: nella comunicazione. La macchina propagandistica della destra statunitense ed europea è riuscita, infatti, tramite l’uso dei social media, ad attrarre a sé quell’elettorato più distante dalla scena politica tradizionale, i cosiddetti “left-behind”.

Reuters

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La politicizzazione degli influencer russi

(ilpost.it, 12 aprile 2022)

Nelle ultime settimane, per controllare l’informazione sulla guerra in Ucraina, il governo russo ha rafforzato la censura sui siti di news che non si adeguavano alla versione governativa dei fatti e ha bloccato l’accesso a diversi social network. Le misure non hanno solo costretto diversi giornali russi a chiudere, su ordine dell’agenzia statale delle comunicazioni Roskomnadzor o in applicazione di una legge recente che definisce “fake news” tutto ciò che non è approvato dal governo; hanno anche costretto molti blogger e influencer russi, che con i social e le piattaforme on line lavoravano e guadagnavano, a riorganizzarsi per non perdere i propri follower e limitare i danni economici. Alcuni hanno deciso di lasciare il Paese e puntare su un pubblico internazionale, iniziando a creare contenuti in Inglese. Tantissimi altri stanno migrando in massa verso le piattaforme alternative approvate dal governo, che ha tutto l’interesse a controllare la circolazione dei contenuti on line e a usare gli influencer come strumento di propaganda.

Instagram

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Perché dovremmo guardare oggi la serie di Zelensky

di Cristina Brondoni (wired.it, 15 marzo 2022)

L’attore che interpretava la parte di Vasily, ormai lo sappiamo tutti, è l’attuale presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky. Che, nemmeno a dirlo, si è poi candidato presidente per il partito Sluga Naroda, fondato dai proprietari della casa di produzione della serie tv, Kvartal 95, tra cui Zelensky stesso e Ivan Bakanov, suo amico di infanzia e attuale capo del servizio di sicurezza dell’Ucraina. In molti hanno definito Volodymyr Zelensky un comico, ma sarebbe più opportuno pensarlo come attivista. La serie tv rientra a pieno titolo nella satira politica, ma vista adesso è evidente che si è trattato di qualcosa di più di un’espressione artistica. Zelensky ha utilizzato la tv per mostrare, o meglio dimostrare, un’altra Ucraina.

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Altro che rockstar, oggi abbiamo solo vetrinisti da Instagram

di Guia Soncini (linkiesta.it, 18 gennaio 2022)

Insomma pare ci sia il ritorno delle rockstar (no, non è un editoriale su Silvio al Quirinale). Non nelle canzoni, figuriamoci, le canzoni ormai sono solo televendite, e io canticchio da un mese «Vuitton e Prada non contan nada se tu non sei con me». Come stile di vita (quindi forse sì, è un editoriale su Silvio al Quirinale). Dice l’autorevole Guardian, in un articolo così pieno di refusi che neanche un comunicato delle Brigate Rosse, che la storia tra Megan Fox e Machine Gun Kelly è il ritorno dell’estetica delle rockstar. Lei ero convinta di ricordarmela: ma certo, era quella dello spot dei telefoni, l’unico modo per risultare memorabili al pubblico italiano (e invece macché, quella è Megan Gale: Megan Fox chissà come ci è finita, nell’impolverato sottoscala dei nomi a me noti); lui l’ho dovuto cercare su Google – pare sia rapper – ma se s’è scelto quel nome d’arte mi pare chiaro che non voleva fare carriera nel campo dei dipinti a olio.

Ph. Nicolò Campo / LaPresse

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