Archivi tag: Guglielmo Giannini

I “musicarelli”, creature dell’industria militare

di Michele Bovi (huffingtonpost.it, 22 maggio 2021)

“La bomba cinemusicale del secolo”, quanta ironia ci fosse nella scelta non siamo in grado di saperlo, di certo non poteva esserci slogan più adeguato per quel prodotto della riconversione industriale che trasformava uno strumento impiegato fino a poco tempo prima per finalità belliche in un apparecchio per ascoltare le canzoni di moda con in più la visione degli esecutori. Si chiamava “fonografo visivo”, o meglio Cinebox, un jukebox con lo schermo per riprodurre a colori i filmati, ovvero gli antenati del videoclip. A fabbricarlo era la Ottico Meccanica Italiana (Omi), azienda nella Capitale con più di mille dipendenti, leader mondiale nella aerofotogrammetria.

Archivio Bottani-Bovi
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Il silenzio degli urlatori

di Francesco Cundari (ilfoglio.it, 1° maggio 2021)

Si sa che quel che conta più di tutto, nel teatro come nella vita, in politica come in letteratura (e secondo alcuni persino negli articoli di giornale), è il finale. Proprio per questo lascia stupefatti la conclusione cui sembra essere arrivato il MoVimento 5 Stelle, singolarissima creatura partitico-teatrale del comico Beppe Grillo, opera somma della politica spettacolo in Italia: un improvviso, interminabile, imbarazzato silenzio. La negazione di tutte le leggi dello spettacolo. La negazione di tutte le leggi della politica. Ma una conclusione che era fors’anche inevitabile per un movimento composto da persone, Grillo a parte, fondamentalmente negate per entrambe le cose.

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No, Totò fu proprio un qualunquista

di Dino Cofrancesco (huffingtonpost.it, 27 marzo 2021)

Commentando il mio articolo sulla Norimberga che ci è mancata, un amico storico mi ha fatto notare che i suoi colleghi “militanti” non potevano non rammaricarsi del mancato processo dal momento che, in dissenso con Hannah Arendt e con Renzo De Felice, vedevano nel fascismo un regime totalitario diverso ma della stessa species del nazismo. Se il totalitarismo tedesco è stato portato davanti a un Tribunale Internazionale (peraltro, formato da soli vincitori), come mai per quello italiano non si è stati neppure capaci di procedere a una blanda epurazione delle figure più compromesse con la politica del famigerato ventennio? La tesi del totalitarismo fascista è stata sostenuta, in molti saggi, da un ex allievo di Renzo De Felice (quando si dice l’ironia della sorte!), lo “storico di fama internazionale, professore emerito dell’Università di Roma La Sapienza e socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei” Emilio Gentile, che non perde occasione per ribadirla.noio_volevan_savuar Continua la lettura di No, Totò fu proprio un qualunquista

Fascio, falce e bordello: breve storia dell’Italia populista

di Luigi Sanlorenzo (linkiesta.it, 14 luglio 2020)

Sulla copertina del libro pubblicato nel 2017 da Marco Revelli per Einaudi, Populismo 2.0, si legge quanto segue: «Il populismo si manifesta quando il popolo non si sente rappresentato. È malattia infantile della democrazia quando i tempi della politica non sono maturi. È malattia senile della democrazia quando i tempi della politica sembrano essere finiti. Come ora, qui, non solo in Italia».

Pixabay
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I 75 anni de “L’Uomo Qualunque”

di Maurizio Stefanini (linkiesta.it, 20 dicembre 2019)

Giusto 75 anni fa, il 27 dicembre 1944, nacque L’Uomo Qualunque. All’inizio come settimanale: a Roma, mentre ancora nel Nord c’erano la Repubblica Sociale Italiana, i tedeschi e i partigiani. «Questo non è un giornale umoristico, pur pubblicando caricature e vignette», spiegava l’editoriale.Fronte_dell_uomo_qualunque Continua la lettura di I 75 anni de “L’Uomo Qualunque”

Il comico come rivoluzionario

Dai giacobini a Grillo, il ruolo dei commedianti nella politica

di Marzio Breda («Corriere della Sera», 3 maggio 2014)

Quando stava per lasciare il Quirinale, Francesco Cossiga confessò il senso della sua ultima, ruggente stagione al vertice della Repubblica. «In un Paese normale se un capo dello Stato facesse quello che faccio io l’avrebbero mandato al diavolo in cinque minuti. I miei atteggiamenti da matto erano voluti. Siamo nella società dello spettacolo, no? Ho fatto così per bucare il video». Spiegò dunque di essersi assegnato «il ruolo del fool del teatro elisabettiano», fingendosi pazzo per smascherare verità occultate e lanciare una profezia della catastrofe che avrebbe dovuto imporre un cambiamento generale. Insomma: aveva vestito i panni dell’attore per fare politica. Vent’anni dopo lo schema si ripete, a parti invertite. Stavolta è un attore a utilizzare le risorse del mestiere per farsi politico. Lo ha in un certo modo anticipato a metà della propria parabola: «Non sono più un comico, sono uno psicopatico, urlo, mi sfogo e mi danno i soldi» (prima quelli e poi i voti).Ponte_di_Pino

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