a cura di Luca Mazzella (fanpage.it, 25 maggio 2022)
Ferito, sconfortato, deluso. Appare così in volto Steve Kerr, coach dei Golden State Warriors, nel pre-partita di gara 4 contro i Dallas Mavericks, a poche ore di distanza dalla notizia della sparatoria di Uvalde, in Texas, dove diciannove bambini e la loro insegnante hanno perso la vita in una sparatoria ad opera di un diciottenne poi ucciso negli scontri con le forze dell’ordine intervenute. In un discorso che sta facendo il giro del mondo, Kerr, pur a ridosso di una gara fondamentale che avrebbe qualificato i suoi ragazzi alle Finals, le seste in otto anni sotto la sua gestione, ha preferito evitare ogni tipo di riferimento al basket giocato per soffermarsi sui fatti di Uvalde ed esprimere, senza troppi giri di parole, una dura condanna con tanto di nomi e cognomi dei responsabili politici dell’escalation di violenza causata dall’accesso indiscriminato alle armi che ormai da decenni non trova argine negli Stati Uniti e continua anzi ad essere ostaggio delle lobby contro cui in tanti hanno puntato il dito (l’ultimo in queste ore è stato Biden) senza tuttavia giungere ad una soluzione.
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