Archivi tag: fake news

Perché il Twitter targato Musk è diventato un ring politico

di Alessio Nisi (agi.it, 25 novembre 2022)

L’acquisizione e le scelte compiute da Elon Musk in questo primo mese alla guida della piattaforma di microblogging sono sempre di più un caso politico che accende negli Stati Uniti lo scontro tra democratici e repubblicani. I primi, incluso il presidente Joe Biden, hanno sollevato preoccupazioni in ordine alla sicurezza della piattaforma: timori innescati dai massicci licenziamenti imposti dal tycoon (a ora i dipendenti sono poco più di 2mila, erano 7.500 prima di Musk).

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Kanye West vuole comprare Parler

(lastampa.it, 17 ottobre 2022)

Il controverso rapper americano Kanye West è pronto ad acquistare Parler, il social network conservatore che ha avuto anche un ruolo nell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 e che per questo era stato bandito da Google Play e App Store. Quella dell’artista, che è passato da Kanye a Ye, è una mossa che arriva dopo l’estromissione da Twitter per un post antisemita nei confronti dell’American Jewish Committee che già aveva segnalato i contenuti dei suoi post su Instagram.

Reuters

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Le ombre di TikTok sulle elezioni americane

di Paolo Fiore (agi.it, 3 settembre 2022)

Il social non è più solo intrattenimento: diventato agorà, è ormai un canale necessario per i partiti. Ma si ritrova a fare i conti con la disinformazione. E con una domanda: si può parlare di politica in un minuto? Dai balletti al voto. TikTok ha smesso di essere il social dei playback. Lo è ancora, ma non è solo quello. A differenza di altri grandi social network, TikTok è sempre stato votato all’intrattenimento puro e non si è mai proposto come agorà. Eppure lo è diventato. E qui, come sempre, la situazione si complica. Un social che diventa luogo pubblico di discussione attira idee, messaggi, ma anche bufale e disinformazione. Facebook se ne è accorto con Cambridge Analytica, TikTok quest’anno durante la guerra in Ucraina. Come la pubblicità, la comunicazione politica è – in un certo senso – laica: non bada al palcoscenico, ma va ovunque ci sia una platea da raggiungere.

Ph. Olivier Douliery / Getty Images

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Come funziona il “Centro Elezioni” attivo su TikTok

di Enzo Boldi (giornalettismo.com, 26 agosto 2022)

Un Centro Elezioni in-app, su TikTok, per cercare di dare una corretta indicazione (e corrette informazioni) ai giovani utenti che frequentano la piattaforma e che il prossimo 25 settembre si recheranno (per molti sarà la prima volta) a votare per scegliere il nuovo Parlamento italiano. Il tutto è stato attivato a partire da oggi, 26 agosto, a un mese dal voto per le elezioni politiche, proprio mentre la campagna elettorale – storicamente – è in grado di esasperare concetti, fare false promesse e raccontare storie che poi si rivelano bufale (in alcuni casi anche cavalcando fake news). Si parte dalle etichette che, nel corso delle prossime ore e dei prossimi giorni, saranno utilizzate per distinguere i contenuti relativi alle elezioni del 25 settembre 2022 dagli altri.

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Musk, Twitter e quei bot che tutti fanno finta di non vedere

di Omar Kamal (huffingtonpost.it, 19 luglio 2022)

La storia è nota. Elon Musk, 51enne visionario proprietario di Tesla oltre che dell’azienda aerospaziale statunitense SpaceX, si è innamorato di un giocattolo il cui nome è Twitter. Il giocattolo in questione, il social media di microblogging, è stato creato dall’informatico e imprenditore Jack Dorsey: il suo primo tweet “just setting up my twttr”, datato 21 marzo 2006, è stato venduto nel metaverso come nft per la cifra record di 3 milioni di dollari che lo stesso Dorsey ha devoluto in beneficenza. Twitter — nato nel 2006 — conquista da subito milioni di persone sparse in tutto il mondo e il suo motore, in principio di soli 140 caratteri, appare inarrestabile: così, in molti, se ne innamorano perdutamente. Musk se n’è innamorato, ma non è stato il solo: la sola differenza è che Musk (rispetto ad altri) ha fatto un’offerta reale di 44 miliardi di dollari per comprare Twitter, ovvero 54,20 dollari per azione.

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Una comfort zone ovattata e rassicurante. La tv di Stato russa prima e dopo la guerra

di Francesca Lazzarin / Memorial Italia (huffingtonpost.it, 11 luglio 2022)

“Forse, per capire dove ci stavamo spingendo, avremmo dovuto guardare più spesso la tv”, mi scrive sgomento un amico e collega, giovane docente universitario russo, due giorni dopo il 24 febbraio. Perché lui preferisce canali privati e progressisti come Dožd’ (conosciuto in Europa come Tv Rain, che ha chiuso forzatamente i battenti pochi giorni dopo l’inizio della guerra tra Russia e Ucraina) e la televisione di Stato russa non l’ha mai seguita in vita sua, snobbandola e sminuendone erroneamente il potere manipolatorio. “Puoi vedere la televisione russa in Italia? Se puoi, guardala, lì ti spiegano le cose come stanno. Così capirai anche tu che non c’è niente di cui preoccuparsi”, mi dice invece tutta tranquilla e sicura, sempre due giorni dopo il 24 febbraio, un’affabile signora russa a cui impartisco lezioni di Italiano e che inaspettatamente si rivela una sostenitrice della “operazione speciale”, al di là della sua laurea in Storia dell’arte e della sua profonda conoscenza del barocco romano.

Bloomberg / Getty Images

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L’infowar di Putin

di Maurizio Stefanini (linkiesta.it, 10 giugno 2022)

La guerra guerreggiata all’Ucraina è stata preceduta ed è accompagnata da una guerra cognitiva. Una “infowar” che la Russia ha combattuto contro l’Occidente, e di cui è stata obiettivo anche l’Italia. Divampano ora le polemiche sui simpatizzanti o propagandisti di Putin, e sul fatto se sia o no legittimo fare “liste di proscrizione”, ma – ad esempio – fu la Polizia Postale ad accertare che la notte tra il 27 e il 28 maggio 2018 si erano attivati all’improvviso quattrocento profili Twitter, fino ad allora dormienti, per scatenare, con centinaia di messaggi di insulti, richieste di impeachment del presidente Mattarella. E il tutto era stato ricondotto alla cosiddetta “Fabbrica di Troll”: quella Internet Research Agency, con sede al numero 55 di Via Savushkina a San Pietroburgo, che impiega decine di persone per immettere contenuti sui social 24 ore su 24, e il cui patron è Evgeny Prigozhin, l’oligarca famoso come “cuoco di Putin”.

Israel Palacio / Unsplash

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Come i social hanno instupidito le istituzioni

(ilpost.it, 30 aprile 2022)

Nella prima metà degli anni Duemila i primi social media svilupparono le proprie piattaforme prendendo a modello alcuni strumenti già disponibili su Internet fin dagli anni Novanta, come le chat, i forum e le “bacheche” virtuali. I servizi forniti da piattaforme come Myspace, Friendster e Facebook permettevano alle persone di condividere interessi e avere relazioni sociali a distanza più frequenti, su una scala fino a quel momento inimmaginabile ma in modo non troppo diverso da quanto fosse possibile attraverso i servizi postali, il telefono, le email o gli sms. A cambiare radicalmente questo contesto alcuni anni dopo, secondo Jonathan Haidt, docente americano di Psicologia sociale alla Stern School of Business della New York University, fu l’intensificazione delle dinamiche virali resa tecnicamente possibile dall’introduzione nelle piattaforme di funzionalità standard che permettevano di ricondividere i contenuti.

Ph. Leah Millis / Reuters

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Per salvare la democrazia serve controllare le piattaforme

di Luigi Daniele (linkiesta.it, 27 aprile 2022)

Lo scorso giovedì, l’ex presidente americano Barack Obama è intervenuto in un incontro sulle sfide poste alla democrazia dall’informazione digitale, organizzato dal Cyber Policy Center, un ente di ricerca collegato all’Università di Stanford. Pur riconoscendo il ruolo innovativo ed emancipatorio che può essere svolto dalle piattaforme on line, Obama ha sostenuto come l’infodemia contemporanea rischi, contro ogni sua promessa di democraticizzazione della società e dell’informazione, di tradursi nel suo opposto. Anche a causa di attori che deliberatamente intendono sfruttarne le criticità intrinseche. Tra questi attori, non ci sono solo «aziende che sono venute a dominare Internet in generale e le piattaforme di social media in particolare», le quali prendono «decisioni che, intenzionalmente o no, hanno reso le democrazie più vulnerabili», ma anche «consulenti politici» o «potenze straniere» che possono «sfruttare strumentalmente gli algoritmi delle piattaforme o aumentare artificialmente la portata dei messaggi ingannevoli o dannosi».

Shutterstock

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Dalla politica al marketing, la rinnovata prevalenza della fede sulla fiducia

di Giacomo Papi (ilfoglio.it, 16 aprile 2022)

Mi sembra che molto di quanto sta accadendo in questo secolo – dall’11 settembre ai No vax, da Chiara Ferragni a Gucci, da QAnon al negazionismo su Bucha – possa essere spiegato con la differenza tra fede e fiducia. Non parlo soltanto di fede religiosa, per quanto centrale sia stato e sia il terrorismo islamico negli ultimi trent’anni. Parlo del fatto che la fede sta tornando a prevalere sulla fiducia in ogni campo, dalla politica al marketing. Parlo del fatto che a decidere l’identità e l’appartenenza di masse sempre più grandi di persone, e a determinare quindi che cosa debba essere considerato vero e reale, sia sempre di più l’atto di credere. Quando parliamo di fake news, quando ci chiediamo come mai il movimento No vax sia così esteso e come possa essere possibile che in tanti, non solo in Russia, pensino che le stragi in Ucraina siano una montatura, ci stiamo meravigliando del fatto che esiste un’umanità che ha una fede alternativa alla nostra.

LaPresse

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