Twitter rimuoverà il divieto di pubblicare annunci politici a pagamento: lo ha detto un dirigente dell’azienda a Reuters, confermando quanto anticipato martedì scorso in un tweet molto più vago con cui l’azienda aveva annunciato il «rilassamento» delle regole sulle pubblicità di cause sociali. Il divieto era stato introdotto nel 2019, sulla base del principio che la politica dovesse “guadagnarsi” l’attenzione delle persone e non acquistarla.
L’acquisizione e le scelte compiute da Elon Musk in questo primo mese alla guida della piattaforma di microblogging sono sempre di più un caso politico che accende negli Stati Uniti lo scontro tra democratici e repubblicani. I primi, incluso il presidente Joe Biden, hanno sollevato preoccupazioni in ordine alla sicurezza della piattaforma: timori innescati dai massicci licenziamenti imposti dal tycoon (a ora i dipendenti sono poco più di 2mila, erano 7.500 prima di Musk).
La scelta di Elon Musk di riammettere su Twitter l’ex presidente statunitense Donald Trump ha fatto molto discutere, non solo per le implicazioni di un suo eventuale ritorno sulla piattaforma, ma anche per le modalità stesse con cui è stata presa la decisione. Musk ha annunciato la fine della messa al bando, che durava da quasi due anni, sostenendo di avere fatto la volontà del popolo.
di Adalgisa Marrocco (huffingtonpost.it, 14 novembre 2022)
Se Facebook piange, Twitter non ride e la fine dei social media non è mai sembrata tanto vicina (ma potrebbe non essere un male): lo sostiene l’esperto di web Ian Bogost in un lungo approfondimento apparso su The Atlantic. Dopo aver passato in rassegna i recenti tumulti dei colossi del web – dagli 11mila licenziamenti ordinati da Mark Zuckerberg per Meta, fino al malcontento di inserzionisti e utenti dopo l’acquisizione della piattaforma dell’uccellino da parte di Elon Musk – l’autore giunge alla conclusione che «la caduta» dei social potrebbe rappresentare «un’opportunità» per ricalibrare il modo in cui comunichiamo.
È almeno dal 2016 che si discute del ruolo delle pubblicità politiche sui social network, e su Facebook in modo particolare. All’epoca le piattaforme digitali erano state accusate, a torto o a ragione, di aver contribuito all’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti nel 2016 permettendo la pubblicazione di inserzioni elettorali che contenevano informazioni false o fuorvianti e di non essere state sufficientemente trasparenti sul tipo di inserzioni che venivano indirizzate ai loro utenti.
Le riflessioni sull’evoluzione dei social media nell’ultimo decennio si concentrano sulle trasformazioni relative sia agli aspetti più tecnici e strutturali delle piattaforme, cioè al modo in cui funzionano, sia alla composizione demografica dell’utenza. Sono in genere trasformazioni progressive o comunque i cui effetti non si manifestano immediatamente: è insomma molto difficile notare, prima che sia passato un certo lasso di tempo, cosa e quanto sia cambiato in ambienti virtuali frequentati ogni giorno da milioni di persone. Uno degli aspetti che rendono oggi i social media molto diversi da ciò che erano negli anni passati, uno tra i tanti, è la progressiva scomparsa delle cosiddette “challenge”: azioni di gruppo o anche individuali oggetto di video che diventavano in breve tempo virali e finivano per essere replicate migliaia di volte coinvolgendo un numero elevatissimo di persone diverse tra loro, anche per stratificazione sociale e per provenienza.
di Michele Mezza (huffingtonpost.it, 19 maggio 2022)
Se nella guerra in Ucraina la Rete è stata un’infrastruttura fondamentale per la resistenza contro i russi, nel dopoguerra rischia di diventare una gabbia micidiale per le democrazie dell’Occidente. La balcanizzazione di Internet, conseguenza del conflitto Est/Ovest, che ha rotto l’universalità delle connessioni, riducendo il sistema digitale a un’Intranet euro-americana, sta spingendo i gruppi della Silicon Valley a ridisegnare i propri modelli di business. Facebook sta diventando il mercato della comunicazione commerciale, spingendo verso il suo metaverso milioni di piccole e medie imprese. Google si propone come re intermediatore del sistema dell’informazione, diventando la rassegna news globale, integrando nella profilazione dei suoi milioni di utenti il flusso delle news della carta stampata.
Nella prima metà degli anni Duemila i primi social media svilupparono le proprie piattaforme prendendo a modello alcuni strumenti già disponibili su Internet fin dagli anni Novanta, come le chat, i forum e le “bacheche” virtuali. I servizi forniti da piattaforme come Myspace, Friendster e Facebook permettevano alle persone di condividere interessi e avere relazioni sociali a distanza più frequenti, su una scala fino a quel momento inimmaginabile ma in modo non troppo diverso da quanto fosse possibile attraverso i servizi postali, il telefono, le email o gli sms. A cambiare radicalmente questo contesto alcuni anni dopo, secondo Jonathan Haidt, docente americano di Psicologia sociale alla Stern School of Business della New York University, fu l’intensificazione delle dinamiche virali resa tecnicamente possibile dall’introduzione nelle piattaforme di funzionalità standard che permettevano di ricondividere i contenuti.
di Kara Swisher (The New York Times / linkiesta.it, 18 aprile 2022)
Jaron Lanier è da molto tempo nella Silicon Valley. Persino più di me. E io sono davvero vecchia. Ha fatto la sua prima apparizione negli anni Ottanta ed è stato uno dei primi pionieri della Realtà Virtuale. Ma, nel corso degli anni, è diventato uno dei maggiori critici del mondo tech e in particolare delle aziende che gestiscono i social media, e cioè degli «imperi della modificazione dei comportamenti» come a lui piace definirle. Jaron attualmente lavora per Microsoft, che ha puntato tutto sulla corsa globale per costruire il metaverso. E non è da sola. Facebook, Snap, Epic, Roblox e altri ancora stanno cercando di rivendicare un loro ruolo. Ma, anche con tutte queste aziende che stanno riversando miliardi di dollari nella corsa al metaverso, non è ancora chiaro come questo sarà in realtà né se le persone lo useranno mai.
di Yezers, a cura di Ellen Stephany Vanegas (huffingtonpost.it, 12 aprile 2022)
L’uso propagandistico dei social media è cosa assai nota. Negli anni Trenta c’era la radio, oggi c’è Meta, la vecchia Facebook, al centro di numerose critiche a seguito dello scandalo Cambridge Analytica. I social media, nati come nuove forme di comunicazione e innovazione, ben presto si sono rivelati essere terreno fertile per la diffusione di fake news, che alimentano la rabbia sociale, canalizzata in campagne d’incitamento all’odio, troppo spesso riconducibili a correnti politiche di estrema destra. I partiti progressisti, infatti, hanno fallito là dove i partiti di destra sono riusciti: nella comunicazione. La macchina propagandistica della destra statunitense ed europea è riuscita, infatti, tramite l’uso dei social media, ad attrarre a sé quell’elettorato più distante dalla scena politica tradizionale, i cosiddetti “left-behind”.