Gli algoritmi dei social non determinano le scelte politiche. O almeno, non nel modo in cui finora si è creduto. Questi i risultati di quattro distinte ricerche di scienziati e docenti di alcune prestigiose università americane, tra cui la Carnegie Mellon, Stanford, Princeton, Università della Pennsylvania, e altre, in collaborazione con Meta. Gli autori hanno esaminato per tre mesi gli effetti degli algoritmi dei feed di Facebook e Instagram durante le elezioni statunitensi del 2020.
L’ex presidente statunitense Donald Trump è stato incriminato per il tentativo di sovvertire il risultato elettorale delle elezioni presidenziali del 2020, con l’obiettivo di rimanere in carica nonostante la vittoria del candidato Democratico Joe Biden. Trump, che è candidato alla presidenza nel 2024, dovrà rispondere di quattro diversi capi d’accusa, fra cui cospirazione per commettere frode nei confronti degli Stati Uniti e cospirazione contro i diritti dei cittadini. L’indagine riguarda i fatti che portarono all’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021 da parte dei suoi sostenitori.
Adesso siamo tutti convinti che i social media determinino le opinioni politiche, e di conseguenza influenzino il voto. Non era così all’inizio, quando un tipico atteggiamento, un po’ supponente, si condensava nel mantra: «… e poi c’è la vita vera». Abbiamo (hanno) scoperto che nell’ambito della vita vera ci sono i social media. Accadeva allora (sembra un tempo remoto, ma siamo a dieci anni fa, o poco più) che la tecnologia permettesse una precisione nella comunicazione politica prima impensata e impensabile.
YouTube ha annunciato che smetterà di rimuovere i contenuti che sostengono falsamente che le elezioni presidenziali statunitensi del 2020 siano state afflitte da «frodi, errori o intoppi». L’annuncio della piattaforma per video di proprietà di Alphabet, società madre di Google, rappresenta un netto distacco dalla politica avviata nel dicembre del 2020, che cercava di arginare le false affermazioni, soprattutto quelle dell’allora presidente Donald Trump, secondo cui la sua sconfitta alle elezioni contro Joe Biden sarebbe stata dovuta a un «furto di voti».
di Lucio Romano (huffingtonpost.it, 8 febbraio 2023)
Dopo il lancio del modello ChatGPT, Intelligenza Artificiale (IA) generativa di OpenAI, ecco la risposta di Google con Bard, uno dei due chatbot che il colosso di Mountain View sta sviluppando. Per adesso sarà disponibile solo per un limitato gruppo di tester scelti da Google. Una nuova gigantesca gara, prima di tutto commerciale e finanziaria, tra le Big Tech. Come riporta Agenda Digitale, le Big Five del mercato tecnologico mondiale – Apple, Microsoft, Alphabet-Google, Amazon e Meta-Facebook (in ordine decrescente di valore di mercato) – hanno visto il loro fatturato crescere anche nel 2022, portandosi a circa 1.500 miliardi di dollari: i tre quarti circa del Pil italiano dello stesso periodo.
di Alfonso Celotto (huffingtonpost.it, 3 gennaio 2023)
Per secoli, forse per millenni, siamo stati sudditi. Cioè sottomessi al potere di un Monarca superiore alle leggi perché regna per grazia di Dio, prima ancora che per volontà per la nazione. Come diceva Polibio, i Re nascono per comandare. Noi per obbedire, perché «senza obbedienza il diritto del potere sarebbe vano, e di conseguenza lo Stato non sarebbe affatto costituito» (sono parole di Hobbes, De Cive, VI, 13).
di Pierre Haski (France Inter / internazionale.it, 9 gennaio 2023)
La democrazia brasiliana è sopravvissuta. Tuttavia, come è accaduto negli Stati Uniti dopo l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021, in futuro il Paese dovrà superare una crisi politica che colpisce le basi del sistema democratico. La domenica nera della democrazia brasiliana è stata la cronaca di una catastrofe annunciata, perché in Brasile abbiamo ritrovato tutti gli elementi che avevano caratterizzato la crisi degli Stati Uniti.
di Francesco Cundari (linkiesta.it, 24 dicembre 2022)
Poco meno di due anni fa, il 6 gennaio 2021, il presidente degli Stati Uniti ha tentato di rovesciare l’esito delle elezioni con un colpo di Stato, come il rapporto consegnato giovedì scorso dall’apposita commissione del Congresso ha abbondantemente documentato. Se la notizia vi suona come un’esagerazione o addirittura vi giunge nuova, se suscita in voi una reazione di leggero stupore, se vi vengono alle labbra parole come «in effetti ricordo di aver letto qualcosa in proposito, tempo fa…», significa che il problema è più grosso di quanto pensassimo.
I media digitali sono un pericolo per la società? Se lo chiede nel suo nuovo libro Jürgen Habermas, il filosofo tedesco tra i principali esponenti della Scuola di Francoforte, che guarda con preoccupazione ad un nuovo “cambiamento strutturale nella sfera pubblica”, come riferisce il settimanale Die Zeit. La tesi è questa: per Habermas il nuovo cambiamento strutturale è il risultato di una “dissoluzione dei confini narrativi”.
di Paolo von Schirach (linkiesta.it, 7 luglio 2022)
Cassidy Hutchinson, già parte dello staff della Casa Bianca di Trump, ha testimoniato recentemente di fronte alla Commissione della Camera che indaga sul tentativo insurrezionale del 6 gennaio 2021. Sotto giuramento, Hutchinson ha affermato che prima della sommossa il presidente Donald Trump era stato informato che alcuni dimostranti erano armati. Tuttavia, dopo aver osservato che non erano armati contro di lui, Trump non fece assolutamente niente per fermarli. Questa testimonianza, sommata ad altre centinaia, una volta che gli atti della Commissione saranno trasmessi al ministero della Giustizia, forse basta per una incriminazione formale di Trump per il reato di sedizione, e magari altro. Staremo a vedere. È troppo presto per fare pronostici attendibili. Ma anche se così fosse, anche se si potesse ipotizzare che Trump vada sotto processo e che sia alla fine condannato, la vera tragedia di questa vecchia repubblica non è nel fatto che Trump ha creato la crisi della democrazia americana.