Archivi tag: celebrity culture

Libri come accessori

(ilpost.it, 25 aprile 2022)

Qualche giorno fa, in un articolo del New York Times, il giornalista Nick Haramis ha raccontato che a Los Angeles si parla dell’esistenza di un professionista che i personaggi famosi pagherebbero per scegliere al posto loro i libri da leggere, o meglio: quelli con cui comparire in pubblico e farsi fotografare, indipendentemente che li si legga o no. Il compito del o della “book stylist” non sarebbe infatti di consigliare delle letture ma di trattare i libri come fossero vestiti, borse e gioielli, come degli accessori insomma, da accordare alla celebrità o all’influencer in questione. Al momento non si sa chi si serva del suo aiuto – scoprirlo rovinerebbe il senso del suo lavoro – e, scrive Harris, la sua identità «come nei finali più inquietanti della letteratura, rimane un mistero». Non è certo la prima volta che i libri sono trattati solo dal punto di vista estetico o per suggerire una certa idea intellettuale di sé: per esempio, i professionisti a cui rivolgersi per riempire la libreria di casa in base alle tonalità del soggiorno esistono già.

Mega / Tmz

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Le cose che anticipò “Kony 2012”

(ilpost.it, 10 marzo 2022)

Nel 2012 Invisible Children era una semisconosciuta associazione californiana impegnata da otto anni in attività di informazione e sensibilizzazione dei Paesi occidentali sui crimini commessi in Africa Centrale da un violento gruppo di milizie fondamentaliste guidato da un leader ugandese chiamato Joseph Kony. Nei primi giorni di marzo di quell’anno, esattamente dieci anni fa, il nome e il lavoro di Invisible Children diventarono eccezionalmente noti negli Stati Uniti e in molti altri Paesi del mondo, oltre ogni realistica previsione, dopo che l’associazione pubblicò su Internet un documentario di circa mezz’ora intitolato Kony 2012. In sei giorni diventò il primo video su YouTube a essere visto oltre 100 milioni di volte.

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L’artivismo è la vera (e unica) avanguardia di questi anni Venti

di Luca Beatrice (linkiesta.it, 22 gennaio 2022)

La parola è stridente, quasi cacofonica, come succede ai termini innaturalmente composti. Però “artivismo” offre la temperatura dell’arte di oggi, politicamente impegnata su temi di larga condivisione come i diritti, l’ambiente, le pari opportunità, le migrazioni, i disequilibri tra le diverse zone del mondo. Questioni tra le poche, peraltro, ad attrarre un pubblico giovane. E si sa quanto la cultura abbia bisogno di un ricambio generazionale. Artivismo. Arte, politica, impegno si direbbe un instant se non fosse che l’autore, Vincenzo Trione, ci ha abituati a lunghe ed esaurienti disamine critiche ben oltre la soglia del contingente. Il suo saggio precedente, L’opera interminabile, viaggiava sulla complessità di artisti-mondo impossibili da incasellare.

Ph. Cecilia Fabiano / LaPresse

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Direttori creativi ovunque

(ilpost.it, 14 dicembre 2021)

Emily Ratajkowski, il principe Harry, Kendall Jenner, Drew Barrymore, Cardi B e A$AP Rocky hanno una cosa in comune, oltre a essere celebrità per meriti, talenti o semplici circostanze molto diversi: sono entrati tutti a far parte di aziende con ruoli quasi sempre descritti come direttori creativi o artistici. Il rapper A$AP Rocky è per esempio “guest artistic director” – cioè lo è come esterno, più occasionalmente – del brand di abbigliamento PacSun, mentre la modella Kendall Jenner è direttrice creativa di Fwrd, boutique on line di abbigliamento e accessori di lusso. Quella di affidare ruoli creativi a personalità della musica e dello spettacolo è infatti una tendenza nuova e sempre più frequente tra le aziende di moda, soprattutto quando si tratta di realtà poco conosciute e di media grandezza.

Kambouris / Getty Images for The Met Museum – Vogue

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La celebrità cinese che il regime ha cancellato da Internet

di Dario Ronzoni (linkiesta.it, 24 settembre 2021)

Se fosse per quello che si trova in Rete, Zhao Wei non sarebbe nemmeno esistita. Eppure, la 45enne attrice e regista cinese – una delle più celebri degli ultimi 20 anni – ha diretto film che hanno vinto premi, ha venduto milioni di dischi (è anche cantante) e su Weibo, il quasi-Twitter cinese, ha ammassato 86 milioni di follower. Con i suoi capitali, ha anche fatto importanti investimenti nei settori tecnologici e dello spettacolo. Senza nessuna spiegazione, il regime cinese ha deciso di cancellarla da Internet. Se la si cerca sui servizi di streaming, non compare. Le sue produzioni sono scomparse. Perfino i suoi riferimenti nelle pagine di Wikipedia (il corrispettivo cinese) non ci sono più.

Ph. Gian Mattia D’Alberto / LaPresse

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La celebrità è negli occhi di chi guarda

di Antonio Gurrado (ilfoglio.it,18 giugno 2021)

Con tutti gli sconosciuti che cercano di diventare famosi, è bello che alcuni vip diano il buon esempio cercando di non farsi riconoscere. Credo sia questo il principale pregio di Celebrity hunted – Caccia all’uomo, che torna oggi su Prime Video. Si tratta di tot celebrità che devono riuscire a non farsi sgamare mentre mantengono l’anonimato per quattordici giorni; fra i partecipanti è indubbiamente avvantaggiata Myss Keta, sia perché la sua fama si fonda sul fatto che nessuno sappia chi è, sia perché l’unico modo di riconoscerla è il fatto che copra naso e bocca con una mascherina.

Prime Video
Prime Video

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La fine del dibattito pubblico (o forse è andato altrove)

di Nicola Mirenzi (huffingtonpost.it, 25 settembre 2020)

Per il quarantesimo anniversario della sua nascita, la rivista Le Débat ha deciso di festeggiare in maniera speciale: chiudendo. Del resto, oggi, quanti altri modi ha una rivista per farsi notare? Nell’editoriale di addio, il direttore Pierre Nora ha scritto che la «scomparsa di una testata importante ha sempre un significato che la oltrepassa» e, da settimane, la Francia si domanda quale sia. «È un allarme per tutto il dibattito pubblico europeo», mi dice Ernesto Galli della Loggia appena accenno al motivo per cui lo chiamo.Le_Debat Continua la lettura di La fine del dibattito pubblico (o forse è andato altrove)

La bontà è obbligatoria: salviamo i famosi dalla prepotenza della buona causa

di Guia Soncini (linkiesta.it, 2 giugno 2020)

La settimana scorsa, nel programma sulla Bbc della storica Mary Beard, Lockdown Culture, c’erano cinque preziosi minuti filmati da Martin Scorsese. Era a casa sua, come tutti, strologava del momento storico, come tutti, montava i propri pensierini con delle scene d’un film di Hitchcock (Il ladro), come nessuno. E diceva che all’inizio la quarantena era quasi stata un sollievo: bisognava stare a casa per forza, non si era tenuti a fare nessuna delle cose che uno avrebbe dovuto fare in circostanze normali.MartinScorsese_LockdownCulture Continua la lettura di La bontà è obbligatoria: salviamo i famosi dalla prepotenza della buona causa