(ilpost.it, 12 febbraio 2022)
La scorsa settimana, durante il Festival di Sanremo, Amadeus aveva chiesto al cantante in gara Giovanni Truppi perché si esibisse sul palco in canotta, una scelta molto criticata da giorni sui social network perché considerata un capo rozzo e poco adatto a una serata importante. Truppi aveva risposto che cantava vestito così da quando era ragazzo e che non aveva senso per lui cambiare stile. Il piccolo caso ha confermato che la canotta, nonostante sia sdoganata da anni e sempre più indossata da uomini e donne, sia ancora considerata un po’ sovversiva e irriverente. Scollata e senza maniche, ha sempre avuto una connotazione anticonformista: da quando venne indossata da una squadra di nuotatrici alle Olimpiadi a quando fu associata allo stereotipo dell’operaio povero e del marito violento, fino a diventare un simbolo di ribellione negli anni Novanta e Duemila.
Fino al Novecento la canotta veniva usata soprattutto da ricchi e nobili per proteggere la pelle dagli altri vestiti, che avevano tessuti più ruvidi e non venivano lavati spesso: era considerata un indumento intimo, da tenere nascosto sotto a vestiti più coprenti e vistosi. Inoltre, fino ai primi anni del secolo scorso mostrare le spalle era considerato poco opportuno sia per gli uomini sia per le donne. Ebbe un primo momento di popolarità durante le Olimpiadi che si tennero a Stoccolma, in Svezia, nel 1912, quando 27 nuotatrici si presentarono per la prima volta con un costume da bagno che lasciava spalle e braccia scoperte. Il motivo era pratico: il costume “a canotta” agevolava le bracciate e in generale tutti i movimenti del corpo durante le gare, infatti era già usato dagli uomini. In quell’occasione, i commentatori ne parlarono come di una scelta estremamente sconveniente per delle atlete. Il legame della canotta con gli sport acquatici è rimasto sia in Italiano sia in Inglese: nel primo caso il riferimento è al canottaggio, dove gli atleti indossavano le canotte per avere le braccia più libere, mentre in inglese il termine tank top o tank shirt significa “maglia per la vasca, per la piscina”.
Anni dopo la maglia intima attillata, con e senza maniche, divenne un capo d’abbigliamento usato soprattutto dagli uomini e accostato, nell’immaginario comune, al concetto di virilità, probabilmente perché era spesso indossata dai lavoratori immigrati e in particolare dagli italiani. Quando a New York faceva particolarmente caldo, infatti, gli operai e i manovali portavano spesso la canotta fuori dai pantaloni senza nient’altro sopra, così da non sporcare la camicia col sudore e non doverla lavare spesso. A questo stereotipo si lega anche un altro modo in cui viene chiamata la canotta in Inglese: wife beater, che si può tradurre con “picchiatore di moglie”. L’origine di questo termine non è chiarissima: alcuni sostengono che risalga al Medioevo e fosse in realtà waif beater, un modo per definire i cavalieri che rimanevano senza armatura in battaglia ma continuavano a combattere solo con la protezione della maglia metallica che portavano sotto. Un’altra storia molto citata, ma che secondo ricostruzioni più recenti non è probabilmente mai accaduta, è quella di James Hartford Junior, un uomo che nel 1947 sarebbe stato arrestato a Detroit per aver picchiato la moglie fino a ucciderla, e di cui circolò molto una foto in canotta.
È vero però che attorno agli anni Cinquanta, con la diffusione nella borghesia statunitense di un sentimento anti-immigrazione, la canotta smise di essere associata all’indumento dei lavoratori immigrati e poveri e divenne il simbolo dello stereotipo del marito ubriaco e violento. A questo immaginario contribuirono i protagonisti maschili di parecchi film americani, e non solo, che uscirono in quegli anni. Il più rappresentativo è probabilmente quello interpretato da Marlon Brando in Un tram che si chiama desiderio del 1951: un uomo rozzo e brutale, per quanto molto seducente, che indossa spesso una maglietta intima aderente (a volte senza maniche, a volte con), la cui storia culmina con lo stupro della cognata. Nel cinema italiano la canotta compariva già negli anni Quaranta, per esempio addosso all’affascinante camionista interpretato da Massimo Girotti nel film Ossessione, e tornò nei film di Fantozzi degli anni Settanta. Successivamente, in televisione, fu adottata principalmente da personaggi dello spettacolo con uno stile cosiddetto “tamarro”, come Pietro Taricone, detto anche “il guerriero”, fin dall’inizio della sua carriera nella prima edizione del Grande Fratello, o dai partecipanti del reality show Uomini e Donne.
Negli anni Novanta la canotta era ancora considerata un indumento grossolano, almeno in Italia, come dimostravano i commenti usciti sui giornali quando Bettino Craxi, segretario del Partito Socialista Italiano, lasciò intravedere la sua sotto la camicia durante un congresso a Bari del 1991. In un articolo di allora su la Repubblica si legge: «Si può o non si può? No, non si può, dicono gli esperti. Il responso è definitivo: sappia l’umanità maschile, snervata dalla calura, che per la vecchia canottiera trattieni-sudore non sono ammesse deroghe in nessun caso, nemmeno se fuori si muore». Nel 2012 Marco Belpoliti scrisse addirittura un libro intitolato La canottiera di Bossi, in cui si chiese «perché il capo leghista esibisca comportamenti tanto provocatori, rompendo una tradizione di stile misurato dei politici italiani della Prima Repubblica. Perché Bossi è un “vitellone” […]. Il leader leghista, futuro capo di partito e ministro, non ha terminato gli studi né ha rivelato particolari attitudini». Politica italiana a parte, già negli anni Settanta, con la diffusione di una maggiore libertà dei costumi, le canotte si cominciarono a vedere più regolarmente sia sugli uomini sia sulle donne. Negli anni Ottanta e Novanta il cinema propose protagonisti in canotta più positivi e sensuali, per quanto sempre accompagnati da una connotazione trasgressiva e violenta. È il caso di Kevin Bacon in Footloose, dove interpreta il ragazzo ribelle che porta scompiglio in una cittadina di provincia, del poliziotto interpretato da Bruce Willis in Die Hard e del ranger Nicolas Cage in Con Air.
Negli anni Novanta, quando la moda cominciò a prediligere soluzioni semplici (o minimal), l’accostamento jeans e canotta si diffuse un po’ ovunque. Allora si portavano i pantaloni larghi e la canotta divenne un modo per bilanciare, con un capo aderente nella parte superiore del corpo. Diventò un simbolo di libertà, comodità e affermazione femminile, indossata tra le altre da Kate Moss e Jannifer Aniston. Nel 1996 alcune delle Spice Girls si vestirono in canotta per irrompere in un ricevimento elegante nel video di Wannabe e lo stesso fece Avril Lavigne mentre vandalizzava un supermercato (con le spalline del reggiseno sempre in vista) nel video del suo singolo Complicated, che la rese famosa nel 2002. Anche Miley Cyrus indossa una canotta corta nel celebre video della canzone Wrecking Ball del 2013, in cui leccando un martello e dondolando nuda su una palla da demolizione segnò la fine della sua carriera da attrice di serie Disney per bambini.
Un po’ a causa del ritorno della moda anni Novanta, un po’ per la tendenza sempre più diffusa di proporre abiti gender fluid, cioè che giocano con i confini tradizionali tra moda femminile e maschile, negli ultimi anni la canotta ha trovato un nuovo posto nella moda e si è vista nelle sfilate di Prada, Saint Laurent e Salvatore Ferragamo. L’estate scorsa il Wall Street Journal aveva scritto che la canotta maschile stava diventando di moda, forse perché durante il lockdown molti si erano abituati a vestiti più comodi e da allora non erano più tornati indietro, o forse perché permetteva di mostrare i bicipiti allenati durante i mesi passati chiusi in casa. Tra le canotte più memorabili del cinema recente c’è probabilmente quella del marchio Aerie indossata dall’attrice Zendaya nel film del 2021 Malcolm & Marie. Dopo essersi spogliata del vestito da sera, la protagonista femminile affronta un esasperante e manipolatorio litigio di coppia lungo tutta la durata del film indossando solo una canotta e un paio di mutande – motivo per cui alcuni hanno scherzosamente paragonato il film a un lungo spot del marchio di intimo Calvin Klein.