Sono incompetente e me ne vanto

di Denise Pardo (espresso.repubblica.it, 6 febbraio 2018)

Pensare che un tempo era un insulto feroce, per moltissimi lo è ancora, meno male, «lei è un incompetente, come si permette, la sfido a duello, a karate, a judo, a sumo». Poi dal fare spallucce all’offesa si è andati un passo avanti ancora o indietro, dipende dai punti di vista, e il giudizio offensivo ora si è tramutato in una qualità.nichols_luiss_coverÈ diventato un quoziente che sta cambiando la morfologia culturale della società occidentale, si è trasformato in una parola e una parabola chiave dell’ampio raggio che da Donald Trump arriva a Luigi Di Maio (con le dovute mega-galattiche differenze tra i due) e che contraddistingue la nuova classe politica (ma non solo quella) emergente e soprattutto vincente. Buoni a nulla, diceva Leo Longanesi, ma capaci di tutto. Nell’Italia del disagio e dell’inquietudine, della disoccupazione giovanile e del precariato a metà del guado tra liberismo e “postofissismo”, il modello dell’incompetente di successo rassicura più delle lotte sindacali. Non c’è da stupirsi se la carenza di preparazione, assurta però a dogma, dottrina e teoria politica, cuore del grillismo di ritorno, goda di un plauso sempre maggiore. Che liberazione aver fatto gli asini, i vitelloni, gli sfaccendati, non essere minimamente preparati, professare zero esperienza e competenza senza essere bollati come paria avendo sconfitto finalmente, di fronte agli intellettuali e agli esperti arroganti (i gufi professori già disprezzati da Matteo Renzi), il senso d’inferiorità. Ovvero il complesso di non aver conquistato uno straccio di diploma, un brandello di laurea, un master-borsa di studio, marchio di potenziale corruzione. O, anatema degli anatemi, non aver vinto un Ph.D., massimo grado d’istruzione universitaria, in genere sventolato nei curricula di clan contaminati dal potere affiliati a lobby europee fellone con posto al calduccio in una banca centrale dell’Unione. Così il dolce far niente è diventato viatico per seggi al Senato e alla Camera, e forse in futuro per scranni ancora più alti nonostante briciole di studi e mozziconi d’impiego e dunque è meglio affermarlo nei salotti tv come il più orgoglioso dei manifesti. «In quarant’anni di vita ho lavorato solo sette mesi» ha fatto la ruota il grillino Alessandro Di Battista, ma il «solo» è suonato quasi come un «ben sette mesi». Non è arrivato al punto di spacciare i cinque anni di legislatura come un duro periodo lavorativo perché spulciando i resoconti del suo impegno parlamentare spesso il lustro appare una vacanza ben remunerata, in giro per l’Italia in scooter o in bici o al centro di comizi esagitati a arringare folle di qua e di là. Ma per Dibba grillino ridens sembra che anche il ruolo di onorevole sia stato assai usurante, tanto che diventato papà si è preso una pausa per godersi il suo pargoletto (o per osservare che fine farà il rivale candidato premier Di Maio o se prima del tempo la sindaca Raggi libererà il Campidoglio, si chiedono i linguacciuti retroscenisti politici). Lavorare stanca si sa, soprattutto per chi non ha l’arte, la parte nel senso di partito Dibba ce l’ha. La neo-scienza sociale dell’incompetenza è studiata con foga nei laboratori più accreditati dell’intellighenzia e dei cervelloni nella consapevolezza culturale che si tratti di uno scontro di sopravvivenza, di un mondo che può saltare per aria o uscirne con un potere molto ridimensionato. Sull’argomento si sommano articoli, titoli, pubblicazioni, simposi soprattutto nel mondo accademico anglo-sassone dopo la Brexit e l’elezione di Trump presidente che non sa leggere un bilancio, non conosce le leggi ma di questo ha fatto un vanto e una bandiera che lo hanno portato dritto dritto alla Casa Bianca e a un anno di distanza non è mai stato messo in castigo da Wall Street e inizia persino a incassare qualche apprezzamento. Le fabbriche di teste d’uovo Harvard e Oxford monitorano il fenomeno e da noi anche l’Università Luiss di Roma benemerita dà il suo contributo, pubblicando un saggio al centro di un clamore internazionale. Titolo La conoscenza e i suoi nemici, sottotitolo L’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia, è scritto da Tom Nichols, professore di National Security Affairs all’U.S. Naval War College di Newport e cattedra alla Harvard Extension School. «Tutti dovrebbero leggere questo libro», ha consigliato il premier Paolo Gentiloni al Forum Ambrosetti a Cernobbio, consacrando la sua uscita. La tesi è che l’enorme accesso alle porte della conoscenza offerto da Internet non ha creato l’alba di un nuovo Illuminismo ma «il sorgere di un’età dell’incompetenza in cui una sorta di egualitarismo narcisistico e disinformato sembra avere la meglio sul tradizionale sapere consolidato». Nichols ricorda il tweet del fumettista e scrittore Scott Adams durante la campagna elettorale di Trump: «Se per diventare presidente è necessaria l’esperienza ditemi un tema politico che io non potrei padroneggiare in un’ora sotto la guida di superesperti», purché beninteso con l’aiuto di Google, Wikipedia e il tam tam di Facebook e Twitter. Una teoria confortante quanto un tête-à-tête con Kim Jong-un. «La nostra vita culturale e letteraria è piena di funerali prematuri», scrive nella Prefazione il professore di Harvard. «Se le competenze di settore non sono morte, sono però nei guai. Qualcosa è andato terribilmente storto». Di sicuro in Italia è andato storto il rapporto pieno di aspettative tra opinione pubblica e approdo dei tecnici, i competenti, al governo. La pietra tombale di quello che all’inizio sembrava un idillio fiducioso, l’esperto aveva qualcosa di divino rispetto ai politici di professione grazie a preparazione, studi, conoscenza delle varie materie, è stata appoggiata dal governo di Mario Monti. Nell’immaginario collettivo di buona parte degli italiani il senatore a vita e il suo ministro del Lavoro Elsa Fornero sono tuttora vissuti come vampiri assettati di tasse e di pensioni. In un affettuoso videogioco lui, bloody Mario, veste i panni di Dracula, lei quelli di un pipistrello. Non che il governo che li ha preceduti, quello di Silvio Berlusconi, non abbia la sua parte di responsabilità nella chiamata alle armi degli incompetenti. L’uomo del fare ha spalancato i cancelli dell’Eden politico-mediatico-acrobatico a un allegro bailamme d’igieniste dentali, attrici, veline, letterine, soubrette, promotori di pubblicità. Ed è stato il suo alleato Umberto Bossi nel ’94 a ringalluzzire lo steward (d’aereo) Francesco Speroni, preferendo lui al ministero delle Riforme al posto del professore-ideologo Gianfranco Miglio. Oggi nella casella dei simil Speroni troneggia Di Maio, trentenne poco yè-yè ma molto preso di sé, una breve esperienza di steward (è il karma allora) allo stadio di Napoli, tribuna autorità però mica in curva, poi altri lavoretti non di concetto, insomma la competenza ideale per il governo di un Paese come il nostro, così pacioso con le carte in ordine e le anime in riga. Naturalmente non tutti hanno la fortuna e la possibilità di trovare la propria strada con lungimiranza e costanza, ma quel che non torna è la presunzione dell’incompetenza, quel saper tutto di tutto: «persone qualsiasi persuase di essere depositarie di un patrimonio di sapere, di essere più informati degli esperti, dei professori e di essere molto più acuti della massa di creduloni», le descrive Nichols nel libro. Li chiama «spiegatori» entusiasti di illuminare, in conversazioni «estenuanti», dalla storia dell’imperialismo ai pericoli connessi ai vaccini. È la comunità dei No Tav e dei No Tap che si battono contro un’opera pubblica e dei Novax avversa all’obbligatorietà dei vaccini, spesso non così erudita nei confronti della crociata da combattere. A Harvard un chirurgo di Napoli con tredici anni di studi di Medicina in America ha domandato a Di Maio, ospite dell’Università, come potesse pensare di conciliare le buone idee con la mancanza di strumenti e di governare senza preparazione, aggiungendo di essere stupefatto che Paola Taverna dissertasse di vaccini avendo alle spalle solo l’esperienza da segretaria in un laboratorio di analisi. Il caro estinto Robert Heinlein, famoso scrittore di fantascienza, avrebbe confutato il principio, secondo la sua storica frase «la specializzazione va bene per gli insetti». Per tornare ai terreni nostrani, la tendenza a straparlare senza cognizione di causa non è ovviamente patrimonio esclusivo del grillismo rampante ignifugo alle critiche sulla questione. Anche la stagione della rottamazione renziana portava con sé il seme della diffidenza verso una classe dirigente che tra le sue migliori qualità aveva almeno quella di avere esperienza. Quel che ora rende la faccenda più complicata è il fatto che l’incompetenza punti sull’incompetenza degli altri. Pare sia l’effetto Dunning-Kruger, dal nome dei due psicologi della Cornell University che hanno studiato quanto sia altamente improbabile che persone disinformate o incompetenti riconoscano la propria o l’altrui ignoranza o incompetenza. Secondo altri analisti questa dinamica spiegherebbe il trionfo di Trump, il cui elettorato non era in grado di valutare a fondo le sue sparate. Come in Gran Bretagna. Quando i Brexiter vittoriosi hanno dovuto ammettere di aver influenzato gli elettori con autentiche baggianate sono stati sommersi da critiche e proteste. Ma nessuno ha fatto ammenda anzi, Daniel Hannan, politico e scrittore conservatore, si è persino imbufalito: «Ci sono persone che non si accontentano proprio mai». In vista delle elezioni i 5S sembrano tentare una mediazione (l’ha auspicata in un articolo Sabino Cassese: «Il problema è il rapporto tra competenza e democrazia… anche le élites non sono senza peccato») presentando liste gonfie di candidati con un passato da professionisti e Di Maio in una sorta di «guarda come gongolo» ha esultato: «Provate a chiamarci incompetenti». In effetti a esserlo sono rimasti solo i leader. Ma il gongolare del capo non è una gran notizia. Secondo Albert Einstein, assai esperto in affari di relatività, c’è qualcosa di peggio dell’incompetenza. La vera crisi, sosteneva lui, è la crisi dell’incompetenza e ora forse non ci viene risparmiata nemmeno questa.

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