di Michele Smargiassi (blogautore.repubblica.it, 15 settembre 2018)
Sorride felice come un bambino perché questo fa un bambino quando tiene in mano un giocattolo: sorride, perché tenere in mano un giocattolo trasforma chiunque in un bambino. I modellini sono giocattoli speciali, sono l’essenza del giocattolo: sono miniature (le bambole come le automobiline) che rendono il mondo letteralmente maneggevole per le piccole, inesperte mani del bambino.Gli danno quella piacevole, quasi esilarante sensazione di sicurezza e di potenza che lo aiuterà a diventare grande, quella sensazione di dominio sulla realtà che un giorno dovrà affrontare nelle sue dimensioni autentiche. Viceversa, intristisce lo spettacolo di un adulto che recede dalla dimensione reale di problemi inafferrabili alla illusione di potenza di una miniatura tenuta fra le mani. Sindrome di Gulliver, gioco della sproporzione che dà l’illusione del potere su una società lillipuziana: è una tentazione antica del potere. Una tentazione tutta visuale. Maneggiare induce alla tentazione di manipolare. Anche le fotografie sono modellini del mondo, a due dimensioni. Rendono il mondo asportabile, maneggevole, impacchettabile, manipolabile perché anzitutto lo riducono, lo restringono, lo rimpiccioliscono. Il piccolo schermo della televisione muta le cose inquietanti in “ninnoli”, ha scritto il filosofo Günther Anders. Potere talismanico della riduzione di scala, gli fa eco lo psicanalista del visuale Serge Tisseron. Rimpicciolire significa esorcizzare. Un drago in miniatura è una innocua lucertola. Nelle croste votive di tante chiesette barocche, i devoti offrono al santo patrono una miniatura della sua chiesa, addirittura della loro città. Rimpicciolire per affermare un potere, rimpicciolire per sottomettersi a un potere. La sproporzione è sempre differenza, difformità, dissimmetria gerarchica. I diorami delle battaglie sono la guerra vista da chi non vi partecipa e non vi rischia la vita: l’occhio del maresciallo napoleonico col cannocchiale sulla collina, nessun rimorso per le vite di quegli uomini microscopici, ridotti a soldatini di piombo. Ma il micromondo non è sempre docile. La presunzione dello stregone che rimpicciolisce con un colpo di bacchetta magica si ritorce contro di lui. Nel Paese delle Meraviglie, Alice ingigantisce a tal punto da far esplodere la casa. Le case di bambole inquietano per claustrofobia, sono affascinanti anche nel senso del fascinum, il sortilegio che tiene avvinti, che trasforma in bambole voodoo. Nelle case di bambole ci vediamo prigionieri in minime stanze. L’illusione di possesso si ribalta in minaccia nel film Hereditary di Ari Aster, dove innocenti maquette per architetti contengono la profezia di sanguinosi orrori che incombono sulla famiglia della costruttrice professionista. Nel Paese dei meravigliosi disastri, le miniature si vendicano beffarde: il modellino del nuovo ponte crolla fra le mani del potente gestore di autostrade che si propone di costruirlo davvero, e Renzo Piano si lascia sfuggire un “eh, se cominciamo così…”. C’è un populismo della scala metrica. Restringere la realtà immanente e faticosa a un giocattolo piccolo e semplice è dare l’impressione di poterlo maneggiare: ma questo si può fare anche con le parole, anzi a dire la verità questa è l’essenza stessa del populismo, che è in fondo puro riduzionismo persuasivo. Il sorriso del ministro col giocattolo in mano non irrita solo per la sua inopportunità etica (gioisce davanti al simbolo di una tragedia). Quell’ostensione giuliva tradisce l’eccitazione di un potere infantile, ancora stupefatto di trovarsi un Paese intero letteralmente fra le mani, eccitato dal regalo trovato sotto l’albero: ma davvero questo è mio? Posso farne quello che voglio? Quel sorriso dal ponte è il marchio della dismisura drammatica tra potere e realtà.