
di Giorgia Olivieri (vanityfair.it, 22 marzo 2025)
L’abito da sposa bianco, una tradizione che quest’anno compie 185 anni. Possiamo essere così precisi nel datare l’inizio dell’usanza perché sappiamo chi fu la prima a lanciare la moda del vestito che avesse il colore dell’innocenza e della purezza per il giorno del matrimonio. Si tratta della regina Vittoria del Regno Unito, che per le nozze con il principe Alberto, celebrate il 10 febbraio 1840 nella Cappella Reale di St. James Palace, scelse un modello che sopravvive ancora oggi nel nostro immaginario, godendo anzi di ottima salute.
Si crede erroneamente che la regina Vittoria fu la prima sposa a indossare un abito bianco. Il suo merito, o forse è meglio dire la sua responsabilità, fu quella di rendere desiderabile l’abito da sposa bianco per le nozze. Non fu neanche la prima reale a sfoggiarne uno. Secondo gli storici questo primato va attribuito a Philippa d’Inghilterra, che nel 1406 si sposò con Eric di Pomerania con una tunica bianca, seguita da Maria Stuarda nel 1558, la quale si unì in matrimonio a Francesco, il Delfino di Francia, vestita appunto di bianco.
Tuttavia il bianco non era un colore associato alla purezza, ma piuttosto era un simbolo di ricchezza. In tempi in cui lavare i propri capi era difficile, ma soprattutto dispendioso, il candore se lo potevano permettere solo i ricchi. Per sposarsi di solito si usava il migliore tra gli abiti in guardaroba, non necessariamente nuovo di zecca. Chi non aveva molti mezzi preferiva commissionare per il lieto evento qualcosa di un colore più scuro, come il rosso o il marrone, che sarebbe tornato utile per quegli appuntamenti che richiedevano un certo grado di eleganza.
Talvolta si virava direttamente verso tonalità più austere come il grigio e il viola chiaro, per avere a disposizione un vestito adatto anche in circostanze luttuose. Usare il vestito da sposa solo una volta nella vita, infatti, è una consuetudine relativamente recente, dal momento che si fa risalire tale pratica alla seconda metà del secolo scorso, quando, archiviata la Seconda guerra mondiale, certi lussi, come quello di acquistare un abito bianco per sposarsi, diventava accessibile anche a chi non aveva sangue blu nelle vene, un buon conto in banca o una carriera ben avviata a Hollywood.
Nel corso del XVIII secolo gli aristocratici e le aristocratiche provenienti da famiglie benestanti si sposavano di solito in abiti chiari e luminosi, che potevano essere bianchi o argentati o di un mix di entrambi. Tali creazioni erano costose non solo in termini di manutenzione, ma anche per i tessuti e per le lavorazioni necessarie a realizzarli. Anche se la moda era già orientata al bianco – nuance perfetta per abiti pensati per essere sfoggiati anche in occasione di balli e di eventi principalmente estivi –, la giovane Vittoria optò per il bianco non per ostentare potere o il suo ruolo, ma per presentarsi al suo «Angelo prezioso» (così chiamava Alberto) come una moglie e non come una monarca.
Tutto l’ensemble fu bianco: Vittoria rinunciò al regale mantello di velluto cremisi bordato di ermellino d’ordinanza per uno strascico di sei metri, e alla tiara di diamanti e pietre preziose preferì una corona di fiori d’arancio, simbolo di fertilità, alla quale era ancorato un velo di quattro metri. Il vestito cucito dalla sarta di fiducia di Vittoria, Mary Bettans, che fa parte del Royal Collection Trust, ha un corpetto a punta steccato coperto da una balza di pizzo, le maniche arricciate con pizzo e una gonna voluminosa molto semplice.
«Ho indossato un abito bianco di raso con una grande balza di pizzo Honiton, un’imitazione di un vecchio modello. I miei gioielli sono stati la mia collana e gli orecchini di diamanti turchi, e la magnifica spilla con lo zaffiro del mio caro Alberto», così annotò la regina sul suo diario. Il bianco, i pizzi e i merletti, quindi, non erano una manifestazione di opulenza, ma piuttosto elementi impregnati di romanticismo e virtù. Questa lettura è supportata dalle parole di Agnes Strickland, la scrittrice che diede alle stampe la biografia della sovrana proprio nel 1840. «Non come una regina nei suoi scintillanti ornamenti, ma in un bianco immacolato, come una vergine pura, per incontrare il suo sposo» riportò la biografa.
Questa fu l’intuizione vincente di Vittoria, ma non fu l’unica. Influencer ante litteram, aveva capito che il matrimonio avrebbe dato una spinta alla manifattura tessile del Paese. Il raso impiegato per l’abito veniva da Spitalfields, il distretto dell’industria della seta a Londra, mentre il pizzo Honiton, disegnato dall’artista preraffaellita William Dyce, impegnò per mesi duecento merlettaie del Devon che stavano vivendo un momento di crisi profonda causato dalla concorrenza del pizzo fatto a macchina. La mossa di creare un capo Made in England fu orchestrata a tavolino perché la monarca voleva rispondere alle critiche che le venivano mosse di prediligere il pizzo di Bruxelles, molto in voga in quel periodo.
Grazie alla diffusione dei primi giornali, delle cartoline e dei souvenir, i resoconti dettagliati del primo royal wedding pubblico non solo rafforzarono la monarchia, ma contribuirono a far sì che il bianco venisse identificato come il colore dell’abito nuziale. Inoltre, l’entusiasmo non fu riservato solo all’unione raccontata come felice, ma anche dalla riscoperta del lavoro manuale, molto più sofisticato e apprezzabile di quello meccanico.
Tra gli storici e gli studiosi, l’idea del bianco virginale e quella del bianco che mettesse in risalto il pizzo sono due idee in conflitto tra loro. Noi ci sentiamo di non escludere l’una a favore dell’altra, anche perché ci sono testimonianze che supportano entrambe le posizioni. Come si può vedere, le reali di oggi non hanno inventato nulla.
La regina Vittoria ha precorso i tempi da tanti punti di vista. Nonostante sia forse più nota per essersi vestita sempre di nero dalla fine del 1861, anno della scomparsa del marito Alberto, fino alla morte, avvenuta nel 1901, il suo esempio è seguito ancora oggi da milioni di spose in tutto il mondo. Grazie a lei, il bianco è diventato il colore per eccellenza degli abiti nuziali. La vitalità della regina Vittoria ha avuto la meglio sull’intensità del suo lutto. Almeno per quanto riguarda il costume.