di Stefano Cappellini (repubblica.it, 30 luglio 2022)
Michele Santoro fonda un partito? E con chi? E quando? Siamo andati a chiederglielo nel suo ufficio romano in Via Giulia: il 25 settembre gli elettori potranno votare Santoro? «Dovrei fondare un partito in una settimana?» risponde il giornalista. «Io sono sinceramente disponibile con tutte le mie conoscenze e capacità di comunicazione a dare un contributo. Un partito non nasce per decisione di una o poche persone, ma per rappresentare le esigenze di un pezzo di società. Di sicuro non mi interessa fare il candidato indipendente senza un progetto che guardi al futuro. Serve il partito che non c’è e che non c’è mai stato. Se il Pd rimuove l’agenda Draghi apre uno scenario, altrimenti se tutti quelli che non condividono l’agenda Draghi si prendono per mano è un fatto positivo. Qualunque cosa succeda il 25 settembre, io dal giorno dopo andrò avanti comunque».
Santoro contro il Pd?
«Se io fossi in Letta, non darei per scontata la rottura con Conte e chiederei una mano a chi, come me, rappresenta il dissenso sulla guerra».
Con che credibilità il Pd si presenta al voto con chi ha una linea diversa in politica estera?
«Se Letta facesse una proposta chiara a Conte lo costringerebbe a rispondere. C’è un problema di visione comune? Ma perché, quegli altri a destra ce l’hanno?».
Letta ha già detto che l’alleanza con il M5S è finita.
«Il Pd è scoperto a sinistra. Di Calenda ne ha già tanti al suo interno. Se Letta insiste nell’ammucchiata di centrodestra dentro la sinistra, resta lo spazio per un campo alternativo. Se in questo campo ci fosse spazio per una lista per la pace, perché no?».
E chi ci sarebbe nel partito?
«Si partirebbe da chi ha partecipato alla serata Pace proibita al Teatro Ghione. Spero che Sinistra Italiana voglia sedersi al tavolo, ma come non ho visto Letta telefonare a Conte nemmeno ho visto Conte telefonare a Fratoianni e neanche Fratoianni aprire un confronto. Se non ci saremo al voto, non sarà per colpa nostra».
E di chi?
«Voglio parlare di Mattarella, un uomo che ho sempre considerato saggio ma di cui stavolta non ho compreso le scelte. Andremo a votare in un momento tra i più delicati del dopoguerra, con una campagna elettorale di pochi giorni, gli ultimi, e con una opinione pubblica che è al 50% critica di tutti gli attori politici. Questa fretta di chiudere il governo Draghi ad agosto non la capisco».
E che c’entra Mattarella?
«Ha provato a convincere Draghi, ma Draghi se l’è data a gambe. I maligni dicono perché dopo aver perso la corsa al Quirinale non vedeva l’ora di dire a ai partiti: sbrigatevela voi».
I partiti hanno tolto la fiducia a Draghi.
«La fiducia in Parlamento Draghi l’aveva pure presa».
Cioè Draghi doveva far finta di nulla quando il M5S non ha votato la fiducia sul Decreto Aiuti?
«Draghi la crisi l’ha provocata prima, quando ha consentito a un suo ministro di fare una scissione nel principale partito di maggioranza sostenendo che non ne sapeva nulla. Doveva impedire che avvenisse».
Continua a essere oscuro cosa avrebbe potuto fare Mattarella.
«Qualunque cosa pur di non creare una impossibile campagna elettorale in agosto. Questa situazione mette il 50% degli elettori nella condizione di non poter scegliere, o mangi la minestra o ti butti dalla finestra, e impedisce a quelli come me, che avrebbero voluto fare qualcosa di nuovo, di raccogliere le firme».
La sua ricostruzione della crisi sembra il remake di certe letture sulla guerra in Ucraina. La spina al governo l’hanno staccata Conte, Salvini e Berlusconi, però la colpa è di Mattarella, Draghi e Di Maio.
«Non credo che la maggioranza degli italiani abbia capito perché si è aperta questa crisi».
La destra non c’entra con la caduta di Draghi, insomma.
«La destra c’entra, ha sfruttato l’occasione per capitalizzare con poca spesa un risultato clamoroso, anche perché al voto c’è la destra ma non c’è la sinistra».
Il Pd cos’è? Un partito di centro?
«Il Pd non ha più nulla a che vedere con la sinistra, è un partito moderato specializzato nella gestione del potere e partner ideale dei tecnici. Oltre al fatto che è diventato il più atlantista di tutti. Ma almeno non è un convertito dell’ultim’ora come Meloni, che era innamorata di Putin e ora lo è degli Usa».
Lei invece è un anti-atlantista?
«Sono per mantenere le alleanze atlantiche, ma in un quadro dove l’Europa sia padrona delle sue scelte. Non doveva consentire che gli Usa armassero l’Ucraina ancora prima della guerra, dando a Putin l’alibi per poter fare l’invasione».
La solita tesi della guerra per procura.
«Non userei questa definizione. Gli Usa stanno sperimentando una guerra fondata non più sull’invio di truppe ma sul coordinamento delle informazioni sul campo di battaglia, come dimostrano le uccisioni mirate. Se vincessero, sarebbe difficile immaginare in futuro invasioni di Paesi sgradite agli americani».
Si fatica a considerarlo un guaio.
«Sempre che non provochi la fine del mondo. Siamo entrati con disinvoltura, fischiettando Topolino come i Marines di Full Metal Jacket, in una situazione che ci ha già portati nell’anticamera di una guerra mondiale e nucleare. Usa e Germania in recessione, la crisi di Taiwan che incombe. Tutta la campagna elettorale dovrebbe parlare di questo, e invece niente».
Chi lo impedisce?
«La vicenda Ucraina è scesa di interesse perché l’informazione ha puntato sulla tv del dolore che dopo un po’ diventa ripetitiva».
Ma il dolore c’è ed è tutto degli ucraini aggrediti.
«È sicuramente la parte che sopporta la sofferenza più grande, ma non l’unica, a partire da quel quasi miliardo di persone che rischia di dover fronteggiare la fame».
Per colpa di Mosca.
«L’invasione è stato un atto criminale grave. Nego il fatto che la guerra e le armi siano la soluzione. Se i 100 miliardi spesi per armare Kiev li avessero investiti per costruire la pace tra Russia e Ucraina, magari non ci sarebbe stata l’invasione».
È come se il Santoro di Samarcanda avesse detto: paghiamo la mafia per non farla sparare.
«Santoro non l’ha detto, altri all’epoca l’hanno fatto».
Ce l’ha con l’informazione perché non conduce più un programma?
«La Rai andrebbe liberata e restituita ai cittadini, alla mia età non ci penso proprio a infilarmi in quella situazione. Certo è che in passato c’erano telegiornali non allineati, come il Tg3, non a caso soprannominato TeleKabul».
Telekabul lo coniò Giuliano Ferrara, non era un complimento.
«Infatti Ferrara oggi vota Pd».
La Russia non c’entra nulla con la caduta del governo Draghi?
«Si combatte con tutte le armi, come gli americani provano a ingerire così fanno i russi».
Dalla parte della Libia controllata dai russi si sono intensificate le partenze di migranti. Un caso?
«Non è impensabile che i russi usino questi mezzi, è orribile ma mi scandalizza di più il trattamento riservato in Libia ai migranti».
Per lei è normale anche la condotta di un leader come Matteo Salvini sulla vicenda russa?
«Sono convinto che Salvini debba dare spiegazioni serie. È un politico raffazzonato e maldestro, Bossi era Churchill in confronto. Se ti affidi a personaggi come Capuano è giusto che si approfondisca. Se Putin ha suggerito a Salvini di far cadere Draghi sarebbe grave. Ma noi abbiamo prove di questo? O ci basiamo su un bollettino di qualche agente segreto? L’intercettazione del funzionario che parlava con Capuano esiste?».
E Berlusconi?
«Se Berlusconi chiama l’ambasciatore russo non è un attentato. Conosco Berlusconi, sono sicuro che è contro la guerra, accetta la linea del governo per convenienza».
Lei accusa il Pd di essere un partito quasi di destra, poi vorrebbe allearsi con il MoVimento 5 Stelle che ha votato i Decreti Salvini, fondato da un ex comico che voleva abolire i sindacati e il Parlamento. Bella sinistra.
«Ci sono delle contraddizioni nella storia del M5S, ma gli riconosco la qualità di aver saputo interpretare un pezzo di società che non aveva voce, pur con tutte le contraddizioni. Reddito di cittadinanza e superbonus sono provvedimenti mal fatti ma importantissimi».
Santoro ideologo del rossobrunismo?
«Ma quale rossobruno, sono come Ciccio Ingrassia che in Amarcord sale sull’albero e dice “voglio una donna”, anche io vorrei salire e urlare: voglio un partito».