(ansa.it, 27 gennaio 2023)
Sanremo e la politica in tutte le sue forme rappresentano un binomio solido e senza tempo, se si pensa che all’epoca del secondo Festival, nel 1952, Papaveri e papere fu considerata un brano “a rischio” perché alludeva al potere dei papaveri dell’allora Dc. Negli anni la polemica a sfondo politico, quasi sempre legata agli interventi dei comici, è diventata un ingrediente praticamente fisso del Festival. Ma questa volta non si tratta dell’intervento di un comico, bensì del presidente di una nazione in guerra, l’Ucraina.
È di fatto la prima volta che una guerra in corso arriva in diretta sul palco più pop d’Italia. Fa discutere per questo Volodymyr Zelensky, che arriverà con il suo video nella serata finale, sabato 11, in chiusura della gara, mentre fuori dell’Ariston la città dei fiori sarà invasa da due manifestazioni, una a sostegno del presidente ucraino, una di pacifisti contro l’invio di armi. Anche nel 1969 Dario Fo e Franca Rame organizzarono un contro Festival che avrebbe dovuto fomentare la contestazione, ma gli effetti furono blandi. Sempre a proposito di proteste, nel 1984 Pippo Baudo fece salire sul palco i metalmeccanici dell’Italsider contro la chiusura dello stabilimento. E sempre superPippo, l’anno successivo, sventò il celebre salto dalla balaustra del disoccupato.
A proposito di religione, fu Roberto Benigni, nel 1980, a dare scandalo per aver rivolto al papa di allora l’epiteto «Wojtylaccio». Nei decenni successivi Benigni diventò un protagonista assoluto anche del Festival di Sanremo, suscitando sempre clamore. Nel 2002 il premio Oscar presentò una sua versione in chiave politica del Giudizio Universale e si lanciò in battute sugli organi sessuali di Baudo, Berlusconi, Di Pietro, Fassino. Nel 2009 sparse battute su Berlusconi ma non risparmiò Veltroni, Mina e Iva Zanicchi e, soprattutto, in difesa dell’amore omosessuale, chiuse il suo intervento con la lettera dal carcere di Oscar Wilde. Nel 2011 fece riscoprire il patriottismo all’Italia con l’Inno di Mameli.
Una delle edizioni più turbolente fu quella del 1989: Beppe Grillo – che oggi si dice contrario alla presenza di Zelensky dal suo blog – distrusse il Festival con attacchi feroci ai cantanti, ai giornalisti e soprattutto all’allora leader della Dc Ciriaco De Mita e al direttore generale della Rai Biagio Agnes. Non fu risparmiato Claudio Martelli per la vicenda di Malindi. La conclusione di Grillo, allora solo un comico, fu: «Io vi faccio ridere e poi mi fanno un c…o così a me». Il trio Solenghi-Marchesini-Lopez si beccò gli strali del mondo cattolico per la parodia del Vangelo e la lettera di San Remo.
Nel 2004 Adriano Celentano, arrivato all’Ariston in soccorso del suo amico Tony Renis (direttore artistico di un’edizione boicottata delle major del disco), disse: «Io non dico mica che non si deve fare la politica. Vespa ha fatto Porta a Porta Speciale Sanremo e, come l’ha fatto lui, i politici ci stanno bene. Perché il Festival e i politici devono restare due cose distinte». Nel frattempo aveva anche criticato il collegamento con Nassiriya, in Iraq, dov’era stata compiuta una strage di Carabinieri. Proprio Celentano, nel 2012, creò un caso che quasi provocò un commissariamento del Festival per il suo compenso (poi devoluto in beneficenza), ma soprattutto per le critiche violente alla stampa cattolica.
Nel 2006, anno di scambi al vetriolo tra Pippo Baudo e Fabrizio Del Noce, allora direttore di Rai 1, furono Tommaso Padoa-Schioppa e Romano Prodi a criticare i compensi dei conduttori del Festival, guadagnandosi la risposta piccata di Baudo. Tornando indietro nel tempo, nel 1999, il bagno di folla più pop d’Italia Michail Gorbaciov lo ebbe a Sanremo, invitato da Fabio Fazio. «Noi siamo giunti da Mosca, dove c’è ancora vento e neve, per portarvi il nostro sentimento di amicizia», spiegò dal palco assieme a un’elegantissima Raissa. Sempre nel 1999 Teo Teocoli si presentò sul palco in mutande, imitando Gabriele Albertini; nel 1992 toccò l’apice la piccola epopea di Cavallo Pazzo, che riuscì a entrare in teatro guadagnandosi il primo posto nella lista dei most wanted del Festival.
In tempi più recenti, nel 2016, tutti gli artisti indossarono i nastrini arcobaleno in favore della Legge Cirinnà sulle unioni civili. «A Sanremo si è portato il tema della violenza sulle donne (2020) con Rula Jebreal. Il racconto delle sanguinose stragi di mafia (2022) con Saviano. Improvvisamente la politica si preoccupa per l’intervento di Zelensky sulla guerra a #Sanremo2023. Mi spiegate perché?», scrive su Twitter Enzo Mazza, ceo di Fimi, la Federazione dell’Industria Musicale Italiana.