di Beatrice Dondi (huffingtonpost.it, 9 febbraio 2016)
Uno spettro si aggira sul Festival: il gender. L’ansia che arrivi davvero Elton John sul palco vestito da Monica Cirinnà imbracciando una pletora di bambini comprati a Piazza Eroi Sanremesi è tale che tutta la prima serata di questa sessantaseiesima edizione ne è condizionata nel profondo. L’annunciato omaggio al Duca Bowie è solo un colpetto di violino che dura meno di un tweet del Bignami della musica, non sia mai si debba cadere nell’ambiguità. Virginia Raffaele sfodera due battutine piccole piccole, mascherate da Ferilli ma sono sufficienti a far sbiancare Carlo Conti. E dire che ce ne vuole. Noemi si presenta con una scollatura abissale ma non si intravede nulla, proprio niente, in compenso sbandiera una sciarpa arcobaleno sul microfono. Che si vede benissimo. Anche Arisa stringe quei colori di seta, con la sua voce limpida e i suoi capelli troppo corti. E Ruggeri, un maschio con quel popò di voce da basso Sparafucile, con quell’icona dei diritti, senza ritegno. Sarà un segnale? Intanto il baronetto Elton non è ancora arrivato e il pensiero incombe. Ma quand’è che ci togliamo il pensiero… Tocca a Garko, impomatato col farfallino al collo, in compagnia del suo gobbo ma per carità, che non si pensi male. Lui non solo non giudica i gay ma neanche i presentatori. Basta che non diano fastidio. Ci mancava solo l’esplosione Pausini, che sì, certo, ancora si chiede se Marco se ne sia davvero andato, ma alla fine del suo discorso da sfoglina emiliana sfodera la scimitarra che tutti temevano. L’appello. “Le persone simili possono proteggersi e non dividersi”. L’ha detto. Lo spettro tanto temuto si è abbattuto sul palco così, senza preavviso. Allora avevano ragione che la vecchia, cara, imbolsita Rai si sarebbe schierata apertamente, avevano ragione quelli che sospettavano che la tv pubblica della messa in diretta, dei don Matteo e della frangetta della Bianchetti sarebbe stata pronta a cambiare sponda. Addirittura Aldo, Giovanni e Giacomo ripropongono il classico gender. Pdor, figlio del dio Kmwer senza uno straccio di mamma, minaccia il vichingo con le parole fatidiche “Tu partorirai con dolore…”. Insomma tutto torna, il grande complotto gender alla fine prende corpo. Persino Morgan figliol prodigo arruffa le carte in tavola senza un’ombra sul viso, un pizzetto, un rossetto, una mèches. Solo per il gusto di creare confusione. Così si allunga il brodo, spot dopo spot, una pubblicità pervasiva che sembra spalmata ad arte per dare il tempo a certi politici di preparare il tweet giusto contro il cantante — gay — sposato con un uomo — padre degenere senza madre. E alla fine arriva. Armato di un pianoforte che strappa l’anima. Non si vedono bambini disperati cresciuti all’ombra funesta dell’ideologia del gender, non si sentono proclami sulle donne trattate come forni, non si respira l’aria di tutto ciò. Si trema e basta con Your Song e sorge il dubbio che davvero sia stato invitato a questo tristissimo festival perché trattasi di un cantante. Seppur gay. E chi non applaude è sordo.