di Francesco Cancellato (linkiesta.it, 17 luglio 2018)
Ci aveva visto lungo Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, nonché consigliere principe del capitano Matteo Salvini: «Tenete sulla scrivania una foto di Matteo Renzi» aveva raccomandato ai ministri, sia gialli sia verdi. Il sottotesto dell’esortazione era chiaro: ricordatevi di non fare come lui, di non stare al centro della scena come lui, di non promettere la Luna come lui, di non rischiare come lui, di non essere arroganti come lui.
Anche perché altrimenti rischierete di finire come lui: dal 40% alla polvere nel giro di poco meno di tre anni. Non sappiamo se Salvini e Di Maio abbiano capito il messaggio di Giorgetti. Di sicuro c’è che stanno facendo l’opposto di quel che suggeriva. Lo fanno nel merito dei provvedimenti, cui appioppano nomignoli improbabili con il “Governo del Cambiamento” e il “Decreto Dignità” che rivaleggiano col “Jobs Act” e la “Buona Scuola” (se non altro i gialloverdi, da bravi sciovinisti, evitano gli inglesismi). Lo fanno, pure, nella totale imperizia con cui si rapportano alle burocrazie ministeriali. Quella che fa straparlare Di Maio di manine che confezionano relazioni tecniche a sua insaputa, per dire, è la stessa che aveva convinto Renzi a creare una task force di amici fidati a Palazzo Chigi – trasformata nel giro di pochi mesi in una succursale di Palazzo Vecchio – che tutto controllava delle attività del Governo. Anche all’estero i nostri rivaleggiano con Renzi in quanto a inesperienza e velleitarismo. Prendete l’enfasi con cui entrambi, insieme a Giuseppe Conte, festeggiano le “storiche conclusioni” dell’ultimo Eurogruppo, quelle che già il giorno stesso si erano accorti fossero poco più di carta straccia: non vi ricordano l’ingenua enfasi che Renzi ripose nel celeberrimo piano Juncker per gli investimenti (di cui oggi stentiamo a trovar traccia) che Renzi, era il 25 novembre del 2014, spacciava come una vittoria italiana «fondamentale per il futuro dell’Europa»? E non vi ricordano, le bizze di Salvini dopo il vertice di Innsbruck con gli “amici sovranisti”, gli sfoghi di Renzi contro le cancellerie tedesche e francesi del 17 settembre 2016? Si parlava, manco a dirlo, di migranti e austerità e Renzi disse, disertando la conferenza stampa congiunta con Merkel e Hollande, che lui fa «il buono solo se mi danno ciò che mi serve, non faccio figuracce per colpa loro». L’enfasi è una malattia che colpisce anche all’interno dei confini. Per il governo gialloverde è tutto “storico”, a partire dalla propria stessa esistenza, per continuare con la propria politica migratoria, sino al demenziale ricalcolo – non abolizione, ricalcolo – dei vitalizi degli ex deputati. Non vi ricorda l’altro Matteo, quello che si esaltava se il Pil cresceva, in un trimestre, dello 0,3% – meno di quasi tutti i Paesi europei –, al punto da produrre un manifesto del Pd con una freccia rossa che sfonda un muro di mattoni grigi? E che dire dell’insopportabile trafila delle riforme realizzate – Terzo Settore, Dopo di Noi, Unioni Civili (manco fossero Sarti, Burgnich, Facchetti) –, come se quello guidato da Renzi fosse stato l’unico Governo a fare cose, o se farle (bene o male non importa) sia già Storia di per sé. Nota a margine: se il ricalcolo dei vitalizi dovesse essere bocciato per incostituzionalità, si aggiungerebbe l’ulteriore formidabile similitudine con il governo Renzi, che con l’incostituzionalità delle leggi elettorali ha avuto qualche problemino, se non ricordate male. Anche la categoria del nemico interno, disfattista e anti-patriota, accomuna Renzi alle sue nemesi gialloverdi: «Abbiamo smentito gufi e rosiconi, sono felice, avremo un’Italia più semplice, andiamo avanti come treni», diceva invece Renzi nell’aprile del 2014. «Ogni volta che faccio qualcosa arriva l’Internazionale dei rosiconi che sta andando avanti a Maalox dal 4 marzo», gli fa eco Salvini quattro anni dopo e un mese fa, a governo appena insediato. Tutti concetti ribaditi ovunque in video: un tempo il prezzemolo dei salotti televisivi e dei #MatteoRisponde era il boy scout di Pontassieve. Ora è il turno di Di Maio – che passa da una trasmissione all’altra senza nemmeno tornare in ufficio – e di Salvini, che ha fatto della diretta Facebook un genere letterario. Le strategie di comunicazione sono uguali. Il rischio concreto è che questo iper-presenzialismo produca assuefazione. E che l’assuefazione produca astio, com’è accaduto a Renzi: un rischio che Salvini e Di Maio dovrebbero prendere in considerazione. Nel frattempo Salvini fa jogging nei posti più improbabili (come Renzi, la cui scorta era il popolo, ricordate) e Di Maio non nega un selfie a nessuno (come Renzi). Come Renzi, infine, puntano tutto sulle Elezioni Europee per guadagnarsi la rimanente legittimità per “cambiare tutto”. Chissà se a Salvini o a Di Maio passerà per la testa di non imitare il loro predecessore e di tornare al voto, in caso di clamoroso successo, per chiedere un ulteriore plebiscito al popolo italiano e fare filotto completo. E chissà se converrà loro, peraltro. È proprio quando la Storia sembra avviata verso un destino ineluttabile che cambia forma e direzione. Se lo ricordino, Salvini e Di Maio. Il consenso è la peggior illusione che esiste. E la superbia, il peggior peccato. Occhio.