La prima battaglia dei Sioux del North Dakota contro l’oleodotto è vinta. Anche grazie all’attivista-attore
di Mariangela Mistretta («D», suppl. a «la Repubblica», 14 gennaio 2017)
Prima di Natale, nel campo di Standing Rock (lungo le rive del fiume Missouri, nel North Dakota), si è levato un boato di esultanza: la lunga protesta pacifica #standwithstandingrock, iniziata l’estate scorsa, è riuscita a bloccare il progetto di costruzione della Dakota Access Oil Pipeline. Un oleodotto destinato ad attraversare anche le terre e le acque della riserva indiana Sioux, considerate sacre, mettendole a rischio.Per ora l’ultima parola l’ha detta The Army Corps of Engineers, il corrispettivo del nostro genio civile, dichiarando che il percorso verrà deviato e facendo così tirare un sospiro di sollievo. Fin qui tutto bene, non fosse che sulla vicenda i media sono stati latitanti mentre il tam tam sui social è riuscito dare visibilità a questa storia. Chi si è impegnato più di tutti ad accendere i riflettori è stato Mark Ruffalo, che sulla bacheca dei suoi profili Twitter, Facebook, lnstagram non conta più le migliaia di grazie. Di professione attore, classe ’67, nomination agli Oscar per Il caso Spotlight, Ruffalo è un attivista dei diritti civili e ambientali. Dice di sé: «Sono un marito, padre, attore, regista. E un difensore del cambiamento climatico, con un occhio su un futuro migliore, più luminoso, più pulito e pieno di speranza per tutti». Anche nella vicenda di Standing Rock, Mark ha lanciato il cuore oltre l’ostacolo: è andato di persona a incontrare, intervistare, ascoltare, filmare e stare a fianco dei dimostranti, chiamando all’appello anche altre celebrities amiche a cui ha chiesto di firmare la petizione NoDAPL: da Scarlett Johansson a Leonardo DiCaprio, da Robert Redford a Paul Bettany, Chris Hemsworth, Shailene Woodley. E attirando sostegno e adesioni anche da parte di altri movimenti: dalle Black Lives Matter a personaggi della politica come il senatore Bernie Sanders, la candidata del Green Party alla Casa Bianca Jill Stein o il reverendo Jesse Jackson Sr. Persino 2.000 veterani di guerra sono andati ad affiancare i nativi americani nel North Dakota. Sul Guardian, Ruffalo ha scritto: «Dobbiamo ascoltare quelli che protestano contro l’oleodotto, non punirli». E questo perché non sono mancati episodi in cui la polizia, inviata a sgomberare il campo, ha usato idranti o spray urticanti. Ricorrendo anche ad arresti. «Mai nella storia del nostro Paese 500 tribù di nativi americani si sono unite in un’unica protesta. È un momento storico». La prima battaglia è stata vinta, ma Ruffalo invita a non fermarsi. Le tribù Sioux hanno infatti inviato una lettera al nuovo presidente Usa: il vero banco di prova saranno le scelte dell’amministrazione Trump a partire dal 20 gennaio.