di Mario Manca (vanityfair.it, 30 giugno 2020)
Difficile pensare che Respect, la sua canzone più famosa nonché il titolo del biopic che vedremo al cinema a dicembre, non sia in qualche modo collegata alla lotta contro il razzismo che ha infiammato le piazze degli Stati Uniti e di tutto il mondo a seguito dell’omicidio di George Floyd. Aretha Franklin, d’altronde, è una donna che ha conquistato tutto da sola, con il sacrificio e la forza di volontà, la voglia di lasciare il segno e la leggerezza che l’hanno sempre contraddistinta.La sua storia – che l’ha portata a essere la prima donna a entrare nella Rock and Roll Hall of Fame, nel 1987 – è raccontata da Liesl Tommy, che, come interprete, sceglie il premio Oscar Jennifer Hudson, approvata dalla stessa Franklin per il progetto prima di morire. Le prime immagini, che scandiscono la parola «respect» attraverso la voce incredibile della Hudson, ci riportano agli inizi della carriera di Aretha Franklin, quando, prima di vendere 80 milioni di dischi e aggiudicarsi 18 Grammy Awards, dovette faticare non poco per farsi accettare dal mondo discografico e mantenere la sua identità, quella che l’ha trasformata in pochi anni nella «regina del soul».
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Dall’infanzia passata a cantare nel coro della chiesa battista del padre alle prime esibizioni live, l’Aretha di Jennifer Hudson si conferma, almeno stando al trailer, un concentrato di passione e fermezza, pronta a stregare il pubblico per tenere in vita il ricordo di una cantante che ha scritto la storia e che non è più tra noi da due anni. L’uscita del film era, infatti, programmata per il mese di agosto, proprio in occasione dell’anniversario della morte, ma l’emergenza Coronavirus ha costretto la Mgm a rimandarla a dicembre.
Insieme alla Hudson, il cast – che ha tra il gli altri il premio Oscar Forest Whitaker, Queen Latifah, Mary J. Blige e Marc Maron – si sforza di dare un’immagine quanto più sfaccettata possibile della diva, omaggiata già nel titolo attraverso uno dei suoi brani più famosi: Respect, scritto e inciso nel 1965 da Otis Redding e reinterpretato da Aretha nel suo album I never loved a man the way i love you (il primo con la Atlantic Records). La canzone, che conquistò in poco tempo la cima delle classifiche, è diventata negli anni un inno delle lotte per i diritti civili e per il movimento femminista, un modo di esigere rispetto per le donne, specie quelle della comunità afroamericana, che chiedono di essere riconosciute per quello che sono.