
di Anaïs Richard (La Lettre Du Musicien / internazionale.it, 28 marzo 2025)
Un fumo pungente, neon rossi e teste rasate. Con la sua atmosfera da locale punk, il Club Atlético Fernández Fierro (Caff) è la vetrina della nuova generazione del tango argentino. Una tela nera rammendata si apre mettendo in scena i padroni incontrastati del club, l’Orquesta Típica Fernández Fierro.
Il gruppo di amici ha rivoluzionato il panorama del tango nazionale con sonorità forti e testi impegnati. Unendo piano, contrabbasso, viola, violini e bandoneon, a dicembre il gruppo ha presentato il suo nuovo album, Basta, davanti a un pubblico di duecento appassionati. Tra memoria della dittatura e rifiuto della xenofobia, i discorsi del leader del gruppo Yuri Venturín si susseguono tra un brano e l’altro.
All’annuncio di uno dei loro pezzi, Diciembre, in fondo alla sala si sente un «Milei vattene!». Il brano, che ricorda una macabra marcia militare, fa riferimento al mese del 2023 in cui il presidente liberista è salito al potere. Fondato vent’anni fa, il Caff è una delle principali istituzioni che promuovono la musica indipendente e alternativa a Buenos Aires. Oggi, però, la sua sopravvivenza è minacciata dalle politiche di rigore introdotte da Javier Milei.
Appassionato dei Rolling Stones e dei Beatles, il nuovo presidente si è fatto conoscere in politica con il suo giubbotto di pelle nera e la sua mania di cominciare i comizi cantando: «Io sono un leone!». In gioventù Milei ha fatto parte di varie band e Hernán Boracchia, ex bassista del suo gruppo Everest, lo descrive come un «eterno ribelle». Milei vuole diventare il Che Guevara neoliberista e la sua rivoluzione è di estrema destra: per lui gli artisti sono «goscisti di merda» e la cultura è solo una «spesa inutile». «Nel modello sostenuto dal presidente, la produttività prevale sull’arte e sulla creatività», constata con amarezza Martina Cardozo, chitarrista del gruppo di cumbia La Revuelta.
Fin dalla campagna elettorale, Milei ha indicato il settore come una futura vittima della sua terapia d’urto per azzerare il deficit. E, una volta diventato presidente, ha mantenuto la parola. Una delle sue prime decisioni è stata quella di privare la cultura di un ministero e affidarla a un semplice sottosegretario. Inoltre, tra le prime misure che ha presentato al Congresso, c’è stato il taglio dei finanziamenti all’Istituto Nazionale della Musica (Inamu), un centro indipendente creato nel 2012 che ha portato avanti politiche efficaci per il settore. Ora però è sotto il controllo dello Stato, che gli ha tolto ogni forma di finanziamento pubblico.
E poi sono state cancellate le sovvenzioni che permettevano di organizzare dei festival gratuiti di quartiere e gli aiuti finanziari per integrare il circuito culturale nell’offerta turistica. «Le procedure amministrative sono diventate più tortuose e ottenere un aiuto finanziario è sempre più difficile. E se per miracolo ci si riesce, ci vogliono mesi prima di ricevere i fondi», aggiunge Walter Cóccaro, che gestisce i programmi del Caff.
Sull’esempio di questa sala da concerto, in Argentina sono tanti gli spazi popolari che funzionano come cooperative. Ma da un anno Milei ha reso più difficili i criteri necessari per permettere a una sala da concerto di essere riconosciuta come tale. «Siamo costretti ad assumere commercialisti e avvocati, a spendere soldi per essere in regola invece di dedicarci al nostro ruolo di promotori della musica», osserva Cóccaro.
E al di là dell’intervento pubblico – o della sua assenza –, la politica di Milei ha tante conseguenze anche sulla vita quotidiana degli artisti e può minacciare la loro stessa sicurezza. «C’è una profonda mancanza di comprensione della professione, si ricorrere facilmente alla denigrazione e addirittura all’aggressione nei nostri confronti», osserva Gustavo Rohdenburg, presidente dell’Unione dei Musicisti Indipendenti (Umi).
La cantante pop Lali Espósito ne sa qualcosa. A 33 anni è diventata un’icona della sinistra dopo essere stata duramente attaccata su Internet dall’esercito di troll di Milei. Il video del suo brano Fanático, uscito il 24 settembre scorso, contiene diversi riferimenti allo scontro verbale che si è consumato nell’ultimo anno tra la cantante e il presidente. Provocandola in diverse occasioni e soprannominandola “Lali Depósito”, Milei ha puntato i riflettori su di lei. Il risultato è stato che nel giro di due mesi il video della canzone è stato visto nove milioni di volte, e il brano è diventato un inno dell’opposizione suonato in ogni manifestazione.
«Se lo stesso capo dello Stato osa insultarci, perché non può farlo un privato cittadino?» si preoccupa Claudia, responsabile del centro culturale Luzuriaga con sede in un quartiere popolare della Capitale. Il centro è chiuso da tre settimane a causa delle lamentele di vicini simpatizzanti di Milei, che l’hanno costretto a fare dei lavori di isolamento acustico. Talvolta dalle intimidazioni si passa alle aggressioni fisiche. Il 20 novembre il gruppo di percussioni Jacarandá è stato colpito da proiettili di gomma durante un concerto in Piazza d’Adrogué, nella zona Sud di Buenos Aires. Il tutto nella più completa impunità.
Certo, il problema è generale. «Il settore è in difficoltà perché le persone non possono permettersi di assistere alle nostre esibizioni, anche se non costano molto», si rammarica Mónica Szalkowicz, manager del Luzuriaga Club Social. Dopo dodici mesi di politiche di rigore volute da Milei, un argentino su due è finito al di sotto della soglia di povertà. «Gli spazi da concerto indipendenti non sono più redditizi. Alla Revuelta facciamo tutti un altro lavoro», dice il bassista Matías Woinilowicz. Una realtà che riguarda la maggioranza dei musicisti indipendenti.
Ma i diritti dei lavoratori del mondo musicale non sono gli unici a essere travolti dall’uragano Milei. Anche le donne, le persone lgbt+, i pensionati e gli studenti sono vittime collaterali della sua politica. E gli artisti esprimono i mali dell’intera società argentina, usando due parole che sono diventate un punto di riferimento: resistenza e solidarietà. Al Caff l’ingresso ai concerti è gratuito per i pensionati. Nel corridoio che porta alla sala principale è apparso un carrello dove raccogliere del cibo per la mensa dei poveri locale.
«Abbiamo scelto la cumbia e i ritmi latinoamericani per rivendicare le sonorità della nostra regione, mentre Milei si batte per seguire passivamente gli Stati Uniti», racconta Martina Cardozo. La scelta cooperativistica è pensata proprio come opposizione al liberista “ognuno per sé”. «Il nostro ruolo è tenere duro, facendo fronte comune».